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Contratti, cosa (non) farà Squinzi

Dovrebbe essere vicino lo sblocco della stagione contrattuale. Il presidente di Confindustria a breve dovrebbe infatti dare un segnale di via libera a tutte le trattative per il rinnovo dei contratti in scadenza. Fino a questo momento non c’era stato un vero e proprio blocco da parte di Confindustria, ma certo il consiglio di attendere la conclusione, positiva o negativa che fosse, dei colloqui a livello interconfederale per la messa a punto di nuove regole per lo svolgersi della trattativa. Consiglio che la gran parte delle federazioni di categoria aveva accolto non fosse che perché, scadute le regole del 2009, non esistevano parametri certi ai quali attenersi per portare a buon fine i negoziati contrattuali.

Adesso, salvo colpi a sorpresa dell’ultima ora, ma sarebbe veramente una sorpresa, quel negoziato interconfederale non solo non si è concluso, ma non è nemmeno iniziato, quindi è inutile aspettare. Squinzi aveva detto che entro settembre avrebbe dato un segnale, adesso siamo in ottobre, sembrerebbe inutile attendere ancora. Liberi tutti dunque, a breve. Restano le idee forti di Confindustria: che i livelli di contrattazione devono restare due e non ridursi a uno solo, che quello aziendale deve essere privilegiato, che i salari sempre più devono essere legati alle performances dell’azienda o del settore, che quanto dovuto dai conti degli scorsi contratti non deve considerarsi perso, almeno in parte. Altre indicazioni non esistono e già queste sono molto vaghe, ma altro non c’è. Dunque l’esito delle trattative sarà affidato alla buona volontà, soprattutto ai rapporti di forza. I settori del resto non solo non sono tutti uguali, sono stati colpiti dalla crisi e a questa hanno reagito in maniera molto difforme, per cui è normale che anche le decisioni relative al rinnovo dei contratti siano difformi. Gli alimentaristi, per esempio, che già sono entrati nel vivo del confronto, potrebbero avere meno problemi a trovare un’intesa, perché il settore è stato colpito in maniera meno forte che in altri settori e perché le prospettive dei prossimi mesi sono abbastanza positive. I chimici, fedeli alla loro tradizione, potrebbero chiudere a sorpresa anche molto velocemente. I meccanici al contrario avranno molte difficoltà a trovare un accordo, anche senza la Fiom, perché il settore si sente ancora in una fase postbellica, dato che il calo della produzione in questi anni è stata molto sensibile e al momento è persa almeno il 30% della capacità produttiva del 2007.

Poi a rendere tutto più difficile, c’è quell’ultimo punto delle indicazioni di massima della Confindustria, il recupero degli aumenti salariali dati con il vecchio contratto e non supportati da paralleli aumenti dell’inflazione. Si tratta di 70, 80, 80 euro circa, a seconda dei settori, che erano stati dati con i contratti di tre anni fa, ma sono poi risult6ati in eccesso a causa del calo dell’inflazione. E’ evidente che non è facile andare a chiedere ai lavoratori la restituzione di queste cifre, che da sole annullerebbero quasi il valore dell’intero rinnovo contrattuale, ma gli industriali non sembrano propensi a rinunciarvi. Tre anni fa, ricordano, risultò dai calcoli a fine triennio che dovevano essere date alcune decine di euro ai lavoratori e questo fu subito fatto. Altrettanto vogliono si faccia ora. Con tutta probabilità si finirà con un taglio, più o meno sostanzioso a quelle somme, che non saranno comunque azzerate.

E le regole generali? Ormai il treno sembra perso, perché Squinzi è a fine mandato e questi accordi, così importanti, non si fanno negli ultimi mesi, vanno costruiti con pazienza e tempo, tanto più che le confederazioni sindacali non hanno una posizione univoca. Sarà un compito del prossimo presidente, che però difficilmente sarà più attento di Squinzi a non rompere l’unità dei sindacati, a sentire le loro ragioni, a cercare un accordo. La lunga presidenza di Federchimica aveva abituato Squinzi a una politica di apertura al confronto che difficilmente sarà ripetuta.

Ma anche prima che ci pensi il prossimo presidente degli industriali sarà il governo a muoversi su questo terreno, per quanto minato possa essere. Renzi ribadisce continuamente e fa ribadire ai suoi che un intervento è possibile in tema di rappresentanza e contrattazione. Sulla rappresentanza un intervento del governo non dovrebbe andare molto lontano dal contenuto del testo unico che Confindustria e Cgil, Cisl e Uil firmarono nel gennaio del 2014. E’ un accordo equilibrato, ha il consenso di tutti, potrebbe funzionare bene. Per la contrattazione invece è tutto da vedere. Si arriverà probabilmente alla definizione di un salario minimo legale, che manca quasi solo da noi tra i paesi industrializzati e che anche in Europa è voluto dal sindacato. Ma è difficile dire adesso a cosa servirà questa indicazione, a che livello verrà fissato il salario minimo, se sarà sostitutivo contratti o meno dei minimi contrattuali fissati dai. Restano tutti da definire i parametri per fissare gli aumenti salariali. La rinuncia del sindacato a definire in autonomia questi parametri fa capire che forse c’è stato qualcuno che questo intervento dall’alto lo preferiva a una scelta che comunque avrebbe creato dei problemi, all’interno delle organizzazioni e nel rapporto con i lavoratori. Solo alla fine sarà possibile capire se un conto siffatto è stato utile o ha peggiorato la situazione. Certo la rinuncia alla definizione di queste regole è stato un altro scossone ala credibilità del sindacato, così messa alla prova in queste settimane.

(estratto di un’analisi più ampia pubblicata sul Diario del Lavoro)

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