Dietro la matematica e la statistica, le astruserie della finanza e le alchimie delle banche, ci sono, dovremmo ricordarlo ogni momento, le persone. L’economia, malgrado tutto, rimane un fatto che riguarda gli esseri umani.
Siamo noi, perciò, la vera variabile indipendente del discorso economico, che invece lascia credere surrentiziamente sempre il contrario. Ossia che gli uomini siano ostaggio di categorie logiche, come la domanda oppure l’offerta. Ma senza uomini l’economia è puro esercizio di calcolo, astratto quanto vacuo. Se l’uomo non consuma non c’è crescita, dicono i manuali. Altresì se l’uomo non investe per creare ricchezza.
Tutto ciò per dire ciò ch’è ovvio: che servono persone per fare girare un’economia. Che sembra affermazione oziosa in un mondo che si va sovrappopolando. Ma invece così non è. Si sta sovrappopolando in alcuni posti e si sta spopolando altrove, e in particolare nelle economie avanzate, che se non fossero ricettacolo di immigrazione, sarebbero a crescita negativa da anni. Non di Pil: di persone. Che poi sono quelle che fanno il Pil, non il contrario.
Queste società tendono a dimenticare che l’invecchiamento a cui sono sottoposte è una potente zavorra delle loro economie. Sicché finisce che gli astuti manovratori delle faccende economiche tendano ad eclissare quanto l’avversa demografia sia responsabile dell’andamento stracco del mondo degli affari. Per dirla in altro modo, possiamo pure portare i tassi a zero e così provare a spingere il credito per rilanciare, ad esempio, il settore immobiliare, ma se nessuno ha voglia di comprare casa, perché magari ce l’ha già e forse più d’una, ed è attempato abbastanza da non desiderare un trasloco, le case non si vendono.
Sarebbe avventato declassare la questione dell’invecchiamento al rango dell’aneddotica trattandosi invero di materia serissima. Lo dimostrano alcune simulazioni alle quali si sono dedicati volenterosi studiosi della Bis e di altri importanti istituti tutti con lo stesso tema: l’economia e l’invecchiamento.
Come dato di cronaca vale la pena ricordare uno dei capitoli della relazione annuale Bis dell’anno scorso, di cui ho già parlando discorrendo di ciclo finanziario. Qui leggo che “le tendenze demografiche di lungo periodo potrebbero esercitare ulteriori spinte sui prezzi delle attività. L’invecchiamento della popolazione comporta un calo della domanda di attività, in particolare di abitazioni. Gli studi in materia indicano che i fattori demografici potrebbero abbassare i prezzi delle abitazioni frenando in misura considerevole la crescita delle quotazioni immobiliari nei prossimi decenni. Laddove ciò si verificasse, verrebbe parzialmente invertito l’impatto dei fattori demografici che avevano sospinto al rialzo i prezzi delle abitazioni nel decennio precedente”.
Ed ecco perciò che l’aneddotica diventa previsione economica. I paesi dove l’avversa demografia rischia di impattare pesantemente sul ciclo immobiliare sono innanzitutto la Corea, il Giappone, il Portogallo, la Germania e l’Italia. E questo dovrebbe bastarci a rendere questo fatto interessante. Il grafico, illustrato a corredo della nota, dovrebbe dirci tutto quello che ci serve di sapere: a meno di clamorose inversioni del tasso di nascita o miracolosi influssi positivi derivanti dall’affluenza dei migranti, il mattone è destinato a deflazionarsi per naturale calo della domanda.
Tale previsione non tiene conto di un’altra circostanza: l’eccesso di offerta. Cosa succederà ai prezzi una volta che la generazione più anziana, ossia quella più dotata di mattone, passando a miglior vita, scaricherà sul mercato gli immobili che possedeva?
Un altro studio, elaborato qualche tempo fa dal Centre for European Economic Research (ZEW) “Aging and Urban House Prices”, analizza l’andamento di lungo periodo fra la grandezza e l’età delle popolazioni di 87 città tedesche fra il 1995 e il 2012 e ne deriva una simulazione secondo la quale “sotto le corrente proiezioni dell’andamento demografico”, si deduce che “l’invecchiamento della popolazione eserciterà una considerevole pressione al ribasso sui prezzi urbani negli anni a venire”. Ciò è importante sottolinearlo, una volta che si ricordi come “la casa è un asset dominante fra quelli dei portafogli delle famiglie” e che quindi “l’andamento della ricchezza è associata al prezzo delle abitazioni”.
L’importanza del mattone viene opportunamente messa in evidenza in un altro paper della Bis del 2012 (“Ageing, property prices and money demand”) dove molto opportunamente si mette in relazione il prezzo delle case con la domanda di moneta attivata dal risparmio. “Quando la generazione dei baby boomer raggiunse l’età lavorativa – spiegano gli autori – e iniziarono a risparmiare (coi redditi di allora, ndr) l’offerta di moneta e i prezzi immobiliari iniziarono una traiettoria crescente. Una volta che questa generazione andrà in pensione, queste dinamiche si invertiranno”. Quindi l’andamento del ciclo immobiliare avrà effetti diretti sul sistema monetario e finanziario tuttora difficile da comprendere.
In uno studio ancora precedente (“Ageing and asset prices”) sempre la Bis studiò come l’invecchiamento della popolazione abbia effetto su tutte le classi di asset, in particolare quelli immobiliari, utilizzando un database di dati che coprono gli anni dal 1970 al 2009. “Le stime – scrissero gli autori – mostrano che i fattori demografici colpiscono i prezzi reali delle case significativamente”. Le stime, formulate sulla base delle previsioni demografiche delle Nazioni Unite del 2008, ipotizzarono fino al 2050 una tendenza al calo delle quotazioni di 80 punti base l’anno negli Stati Uniti e ancora di più in Europa e Giappone dovuta proprio all’invecchiamento.
Ciò ovviamente non vuol dire che andrà così, essendo le stime null’altro che ipotesi. Vuol dire però che l’invecchiamento esprime un trend ribassista che, per essere invertita richiede un notevole sforzo economico da parte delle popolazioni. Popolazioni che però, in larga maggioranza, sono le stesse che esprimono tale tendenza. Ed è questa considerazione a rendere credibile la simulazione. Con l’aggravante che un calo del mattone ha effetti anche sugli altri asset finanziari. Pensate ad esempio al peso che il mattone ha nei fondi pensioni e nelle assicurazioni, ossia le entità che sempre più dovranno fare i conti con l’invecchiamento della popolazione, per non parlare del bilancio dello stato.
Di fronte a questa ricognizione, seppure frettolosa, mi pare emerga con chiarezza ciò che volevo dire dall’inizio. L’economia è fatta da persone. E persone che invecchiano fanno un’economia assai diversa da persone giovani.
In tal senso l’affidamento cieco che facciamo sulla politica monetaria è una pericolosa illusione
Il denaro a basso costo non fa ringiovanire.
O almeno non ancora.
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