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Chi si batte in Parlamento contro l’utero in affitto

Si è tenuta ieri, 5 ottobre, nella Sala Nassiriya del Senato, una conferenza stampa dal titolo “Unioni civili: la proposta parlamentare contro l’utero in affitto“. Promossa da alcuni parlamentari (fra gli altri, Maurizio Sacconi, Carlo Giovanardi ed Eugenia Roccella di Ncd, Lucio Malan e Maurizio Gasparri di Forza Italia), punta a chiedere un rafforzamento della legislazione nazionale contro la pratica dell’utero in affitto, altrimenti detta della “maternità surrogata” (in inglese “surrogacy”), già vietata dalla legge 40/2004 con la sanzione per chi ne organizza o pubblicizza l’impiego, ma in crescita anche nel nostro Paese.

MATERNITA’ “PER CONTO TERZI”

Nel corso della conferenza stampa, alla quale ha preso parte anche Francesca Poleggi, portavoce dell’associazione ProVita Onlus, sono stati illustrati sia il caso «di una associazione milanese che di fatto e contra legem realizza anche nel nostro paese la cosiddetta “maternità per conto terzi”», sia proposte «per arginare la diffusione di questo nuovo mercato della maternità che si realizza attraverso lo sfruttamento di donne povere e bisognose, spesso di Paesi terzi».

LA DENUNCIA DI PRO VITA ONLUS

L’iniziativa di ProVita trae origine dalla vicenda di una coppia di coniugi italiani di 55 e 43 anni che, non potendo avere figli in modo naturale a causa dell’infertilità della donna, si è recata in Russia per sfruttare la pratica dell’utero in affitto (vietata e punita in Italia). Nel 2011 ha ricevuto un bambino in cambio di 50.000 euro.

I coniugi hanno allora fatto ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Con una sentenza che ha fatto molto discutere, il 27 gennaio 2015 la Seconda Sezione della Corte ha condannato l’Italia al pagamento di 30.000 euro di danni e rimborsi a favore della coppia. La Corte ha ritenuto violato il diritto dei coniugi alla vita privata familiare.

Dopo aver ribadito che, in teoria, ogni Paese è libero di valutare autonomamente la questione della liceità dell’utero in affitto, e che i coniugi hanno effettivamente messo in pratica un comportamento illegale secondo il diritto italiano, la Corte ha però ritenuto non proporzionata la decisione di allontanare il minore dalla coppia, poiché i mesi di convivenza avevano creato, di fatto, uno stato familiare di per sé degno di tutela nell’interesse del minore.

Nelle loro opinioni dissenzienti allegate alla sentenza, i giudici Raimondi e Spano hanno però affermato che se gli Stati non sono liberi di negare alla pratica dell’utero in affitto qualsiasi effetto giuridico nel proprio ordinamento, la loro autonomia è allora sostanzialmente nulla.

IDEOLOGIA GENDER E “UTERO IN AFFITTO”

E’ opinione comune, soprattutto in un momento storico nel quale l’ideologia del “gender” compie continui passi avanti, che la “maternità surrogata”, ovvero la pratica di avere un figlio per mezzo del corpo di una donna che viene artificialmente inseminata da quello che sarà il padre biologico (“traditional surrogacy”), sia questione che riguarderà sempre più le coppie omosessuali. Il problema diventa di particolare delicatezza perché, allo stato attuale, non esistono statistiche sul numero e la percentuale di coppie omosessuali, specie maschili, che si rivolgono alle “agenzie di maternità surrogata” alla ricerca di donne che si sottopongano a pesanti terapie ormonali pre-impianto per “cedere” loro il tanto ambito figlio.

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