Neanche è stato firmato, dopo ben dieci anni di trattative, che già in America nessuno dei candidati più in vista alla prossima presidenza sembra avere voglia di sostenere la Trans Pacific Partnership (TPP), l’accordo sulla liberalizzazione del commercio con altri undici Paesi dell’area del Pacifico.
LA PORTATA DELL’INTESA
La stampa americana sottolinea che è il più vasto accordo regionale mai raggiunto: riguarda economie che valgono 28 mila miliardi di dollari di pil annuo, il 40% di quello mondiale, ed un terzo del commercio internazionale. Inoltre, è un precedente importante rispetto alla negoziazione in corso di un accordo sostanzialmente analogo tra gli Usa e l’Unione Europea, il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership).
CHE COSA (NON) DICE HILLARY
Neppure Hillary Clinton, che pure da Segretario di Stato durante il primo quadriennio della presidenza di Barack Obama aveva sostenuto l’importanza dell’Accordo, è soddisfatta dei risultati: a suo avviso, non è all’altezza delle attese e delle sfide. L’affermazione secondo cui, ad esempio, i vantaggi per le compagnie farmaceutiche sarebbero maggiori rispetto a quelli che per gli ammalati ed i consumatori, sembra celare preoccupazioni più profonde. Donald Trump, candidato alla nomination per i Repubblicani, se l’è cavata con una battuta: l’America ha bisogno di “fair trade” e non di “free trade”.
I TRE ASPETTI
Sono tre gli aspetti fondamentali della TPP: la geopolitica, e il cosiddetto “circondamento” della Cina che non è stata parte delle trattative; gli assetti giuridici determinati dall’Accordo, ed in particolare gli strumenti che le imprese potranno usare per tutelare i propri interessi; le prospettive di sviluppo economico per le imprese americane all’estero, e per l’occupazione negli USA.
IL NODO GEOPOLITICO
La questione geopolitica, pur essendo fondamentale, può essere bene intesa solo dopo aver approfondito il contesto giuridico delineato dalla TPP. Si tratta sostanzialmente di una evoluzione dello schema contenuto nel trattato del 1994 istitutivo della NAFTA (North America Free Trade Area), tra Usa, Canada e Messico: pur lasciando a ciascuno Stato contraente libertà normativa, si consente però alle imprese di tutelare direttamente il proprio interesse economico. Infatti, l’impresa che si senta ingiustamente penalizzata da un provvedimento amministrativo o da una legge, e che sia insoddisfatta delle decisioni giurisdizionali di quello Stato, può appellarsi alla costituzione di un collegio arbitrale citandolo in giudizio per violazione del Trattato. E’ accaduto, ad esempio, che una azienda canadese, che esportava un certo prodotto chimico negli USA, abbia citato in giudizio lo Stato della California per averlo messo al bando, avendolo ritenuto dannoso per l’ambiente. Questo sistema estende la clausola arbitrale che viene prevista nei trattati internazionali per la protezione degli investimenti. Con una grande differenza, però: l’azienda che si senta lesa da un atto dell’altro Stato che prefigura una espropriazione degli investimenti effettuati, ovvero una sostanziale ablazione dei legittimi proventi che ne derivano, deve chiedere tutela al proprio Stato, il quale innescherà la controversia internazionale attraverso un arbitrato tra Stati.
L’IMPATTO SULL’EUROPA
Nell’Unione Europea, la realizzazione di un mercato interno segue uno schema assai diverso: le libertà fondamentali di circolazione delle persone, dei capitali e delle merci, sancite dal Trattato, sono assistite dalle direttive volto a dare uniformità alle normative nazionali. Nella UE, si rimane soggetti alla legislazione nazionale, ma questa deve conformarsi alle direttive europee ed al Trattato. Chi si ritenga danneggiato, asserendo violazioni da parte di uno Stato, ha infine il diritto di citarlo in giudizio, ma di fronte alla Corte di giustizia e non ad arbitri privati.
L’IMPATTO SUL WTO
La TPP, quindi, crea un quadro completamente nuovo, espropriando il Wto delle competenze sulla composizione delle controversie commerciali. Al di là di ogni altra valutazione geopolitica, è difficile pensare che la Cina possa aderire a questa impostazione.
LE ATTENZIONI AMERICANE
Negli Usa non si discute della prevalenza della libertà commerciale rispetto alla sovranità degli Stati: ci si interessa dell’occupazione e dell’impatto che l’Accordo avrebbe sul re-shoring in corso da parte delle imprese. Si teme che, riducendo il rischio che l’attività imprenditoriale nei Paesi aderenti possa essere ingiustamente condizionata da vincoli normativi o amministrativi, magari introdotti solo per ostacolare l’impresa straniera, si crei un nuovo incentivo a delocalizzare dagli Usa ovvero un disincentivo a ritornare.
L’ESPERIENZA CINESE NEL WTO
Il ricordo dei milioni di posti di lavoro persi per via delle imprese che, americane o meno, si sono istallate in Messico per esportare negli Usa, brucia ancora. La devastazione dei saldi commerciali americani determinati dall’ingresso della Cina nel Wto è ancora sotto gli occhi di tutti. La produzione va dove il salario è più basso, e le pur apprezzabili disposizioni a tutela dei lavoratori contenute nella TPP non sembrano un argine sufficientemente alto.
LE VERE MIRE DEGLI USA
Sarà pure un obiettivo geopolitico strategico per gli Usa, perseguire il duplice “circondamento”: quello della Cina, escludendola dal TPP, e quello della Russia attraverso l’accordo esclusivo con l’Unione Europea mediante il TTIP. Ma rischia di costarle caro in termini di sviluppo e di occupazione: scuoterebbe l’albero di cui altri raccoglieranno le mele. Come è successo con la NAFTA, che ha favorito soprattutto la crescita del Messico in cui si sono insediate le imprese di tutto il mondo per poter esportare liberamente negli Usa.
TRA BILL E HILLARY
Tra i bei principi di libertà per le imprese ed i brutti presentimenti per la disoccupazione, prevalgono questi ultimi. La presidenza democratica di Bill Clinton fu artefice della NAFTA nel 1994 e dell’ingresso della Cina nel Wto nel 2000: Hillary Clinton ha buona memoria. Per la presidenza democratica di Barak Obama, la firma della TPP potrebbe non essere vera gloria.