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Papa Francesco, il gesuita attento alle bombe geopolitiche

La famiglia? Le culle vuote? Un tema da Dan Brown: l’autore di Angeli e Demoni nel suo recente romanzo Inferno impernia l’ennesima trama ricca di colpi di scena sul problema della sovrappopolazione globale, e disegna un climax in cui il vero nemico da battere sarebbe la riproduzione umana. Nella realtà, molto prima di leggere Dan Brown, la popolazione occidentale ha iniziato una micidiale traiettoria di decrescita demografica confermata da un costante calo nel tasso di fertilità dell’Occidente.

Ma quello dello svuotamento della famiglia e delle culle non è che l’ultimo tema-chiave su cui la torre di controllo dell’intero mondo occidentale e il barometro delle sensibilità che esprime è la Chiesa cattolica. Per alcuni versi, la mente torna di colpo al 1968, anno dell’Humanae Vitae, l’enciclica sul “gravissimo dovere di trasmettere la vita umana” in cui Paolo VI impresse la preoccupazione di non avallare in nessun modo le politiche di controllo delle nascite allora in auge, e al braccio di ferro interminabile che seguì dentro le mura vaticane e tra la società civile.

Dibattiti endo-cattolici, roba da vaticanisti? Non solo. Papa Bergoglio è infatti un pontefice che maneggia variabili geopolitiche come non si vedeva più dai tempi di Papa Woytila e del grande confronto con l’Unione Sovietica. Talora la diplomazia pontificia agisce in maniera visibile a tutti, come nel caso del lungo negoziato tra Stati Uniti e Cuba, talaltra sottotraccia, in un intreccio gesuitico in cui a un registro pubblico ne corrisponde un altro più sottile e meno evidente.

Di particolare rilevanza è l’allungo verso est, con la ripresa del dialogo con il vasto mondo ortodosso e le principali componenti che lo animano, scandita da tappe solenni come il viaggio a Istanbul nel novembre dell’anno scorso. La vicinanza alla Chiesa ortodossa è un tassello nella strategia di lungo termine di saldatura della comunità cristiana, e della ricomposizione degli scismi che ne hanno segnato la disgregazione.

È tuttavia anche un progressivo avvicinamento alla spiritualità della Russia, che dopo la lunga parentesi sovietico-bolscevica ha acquisito seppure in maniera posticcia parte dell’impianto simbolico e spirituale dello zarismo. Mosca, inoltre, si propone come difensore delle comunità cristiane oppresse in molte parti del Medio Oriente e dell’Asia Minore. Nemmeno si può dimenticare escludere il vibrante richiamo al genocidio armeno operato dal pontefice proprio nella primavera di quest’anno. Che è senz’altro un riferimento a vicende passate, ma potrebbe anche essere un messaggio “a nuora perché suocera intenda”, ossia un monito alla Turchia neo-ottomana a non avallare persecuzioni di cristiani.

La stessa enciclica dedicata a tematiche ambientali è stata vissuta da molti come uno sconfinamento della massima autorità spirituale dell’Occidente in spazi finora presidiati da lobby “green” e dai loro interlocutori industriali, ma incorpora temi geopolitici. Si pensi agli sconvolgimenti politici causati da siccità. Diverse comunità di analisti di rischio geopolitico hanno ad esempio provato a ricostruire la sequenza di eventi da cui scaturirono la rivolta tunisina del pane e la primavera araba del 2011. Molte analisi, in particolare, sottolineano l’impatto di un’anomalia meteoclimatica nell’anno precedente. Anche la reportistica per l’anno 2010 a cura del National Climatic Data Center del Dipartimento Americano del Commercio conferma l’esistenza di un’ondata di calore anomala su larga scala occorsa sulle regioni euroasiatiche durante l’estate.

L’ondata di calore si è rivelata particolarmente intensa sull’area compresa tra la Federazione Russa, Ucraina e Kazakhstan, dove si verificarono numerosi incendi nei campi di grano, con un conseguente shock nella produzione complessiva della regione, in calo 32.74% per la Federazione Russa, 19.38% per l’Ucraina e 43.12% per il Kazakistan. Come conseguenza il prezzo del grano aumentò sul mercato globale con un picco secondo soltanto al prezzo registratosi durante la crisi finanziaria globale del 2007-2008. A farne le spese fu soprattutto il Maghreb, dove si trovano alcuni dei primi venti importatori di grano al mondo (Egitto, Algeria, Marocco, Tunisia, Libia) e dove vecchi gruppi dirigenti avevano mantenuto per decenni la presa sulle istituzioni pubbliche, con enormi accumuli di ricchezza e potere nelle tasche e nelle mani di pochi.

Alle migrazioni da siccità si affiancano i guru del geo-engineering, la disciplina che studia il modo di hackerare la natura e piegarla alla propria volontà. Tirare un razzo in una nuvola può apparire già un enorme passo in avanti rispetto alla danza selvaggia di uno sciamano o al sacrificio pagano, ma rimuovere particelle di aerosol dalla stratosfera richiede ben altre capacità. Nulla che sia al di fuori delle possibilità umane, o almeno così sostiene il fisico di Harvard David Keith nel suo visionario saggio “A Case for Climate Engineering”.

Alla Chiesa non può, ovviamente, sfuggire una delle più potenti variabili geopolitiche, quella demografica. Che è una lente il cui vetro segnala società senescenti in ampi settori dell’Occidente. Società per cui la pensione non è più considerabile una fase di puro “riposo”, ma una fascia di vita sempre più ampia in cui ridefinire obiettivi, rischi, prospettive, eventuali nuovi impegni lavorativi per far fronte alle esigenze familiari (figli e nipoti). Preoccupazioni che gli anni di contrazione dei redditi a causa della crisi hanno reso più acute. E che il geo-papato di Bergoglio – orecchio attento ai ticchettii di bombe geopolitiche – non può realisticamente ignorare.

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