Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Si sta andando speditamente verso la riforma costituzionale tra incidenti nell’aula di Palazzo Madama e una disinvolta applicazione del regolamento. Il tutto, salvo “complicazioni”, si dovrebbe concludere il 13 ottobre. Il Senato della Repubblica è trasformato in un club di presidenti, consiglieri regionali e sindaci delle grandi città come se avessero poco o nulla da fare nei loro territori. Certo si supera il bicameralismo paritario e si dice che l’iter legislativo sarà più rapido e di qualità. Non ne sono convinto! La qualità della “produzione” legislativa dipende dalla politica.
Non è assolutamente scontato che la rapidità significhi anche chiarezza della norma e che tutte le incongruenze nella produzione legislativa siano imputabili esclusivamente alla doppia lettura dei disegni e proposte di legge. I costituenti chiarirono questo aspetto quando decisero per i due rami legislativi. E’ un bene superare il bicameralismo perfetto attribuendo una diversificazioni di competenze tra i due rami. Non è un bene far sopravvivere un Senato dalle competenze incerte e con una elezione che ripropone, dopo l’accordo tra la maggioranza Pd e la minoranza di questo partito, sostanzialmente il sistema di nomina così come avviene per la maggior parte dei deputati con l’Italicum. Sarebbe stato meglio abolirlo e andare, senza camuffamenti, verso il presidenzialismo.
Il “combinato disposto” tra riforma costituzionale e legge elettorale dà vita a un esecutivo forte e a un legislativo debolissimo. Ci troviamo di fronte al superamento della parità tra le due Camere ma anche ad una clamorosa cancellazione dell’equilibrio tra potere legislativo e il potere esecutivo. Si scardina un principio fondante dello Stato moderno. È una rivoluzione che manomette la dottrina e le conquiste di garanzia intervenute nel corso degli anni. Il problema è proprio questo! Con un esecutivo debole e un parlamento ridotto a suo derivato, la produzione legislativa rimane appannaggio del governo e, quindi, del premier.
Ritorniamo all’indomani dell’8 settembre 1943 fino alla elezione dell’Assemblea Costituente del 1946 quando era il governo a legiferare (i decreti luogotenenziali di Umberto di Savoia). Chi controllerà l’operato del governo? I cittadini (molti in questo clima di anti-politica non si pongono interrogativi) saranno sempre più soli difronte un potere esclusivo non bilanciato dalla loro rappresentanza come avviene ad esempio negli Stati Uniti e non solo. La riforma costituzionale di così grande portata si sta approvando attraverso una pratica di “conquiste “di senatori, l’uso della clava delle elezioni anticipate e la messa in atto di sofisticati mezzi di convincimento.
Anche una legge ordinaria prodotta con questi metodi è un inganno figuriamoci una riforma costituzionale che avrebbe dovuto avere una diversa forza di attrazione e di coinvolgimento. Non si rompe con il vecchio ma si ritorna al vecchio quando i parlamenti subivano la influenza del principe. Ecco perché si era proposto una Assemblea costituente. Questa non è una modifica parziale della Costituzione che può essere fatta con l’art.138 (mi rifaccio al filo conduttore del dibattito nell’Assemblea costituente) ma è un capovolgimento dell’impianto dell’ordinamento. Quando la rappresentanza è condizionata, la democrazia ne soffre. Questo avviene nei comuni e nelle regioni.
È vero che è stata assicurata la stabilità ma stabilità non sempre significa efficienza. Con il prevalere del sindaco e del presidente della regione si sconfina in un sostanziale protettorato. Una riforma seria doveva essere quelle delle regioni prevedendo la sfiducia costruttiva (anche per i Comuni) sottraendo, così, ai capi delle amministrazioni lo strumento del ricatto dello scioglimento che limita l’agibilità degli eletti e fa prevalere lo spirito della loro conservazione con la conseguente rinuncia a idee, convincimenti e principi etici. Non parliamo delle provincie perché non si è capito cosa siano se non una complicazione inutilmente costosa (la riforma del governo non è assolutamente di qualità ma un non senso.).
Oggi con la riforma si liquida sostanzialmente non il sistema paritario fra due rami del Parlamento ma di fatto lo stesso Parlamento e nasce la figura del “lord protettore”. Si conclude così il percorso iniziato con le elezioni del 1994 e quindi possiamo dire che solo oggi si approda realmente alla seconda repubblica con una forzatura indicibile. Bisogna solo sperare che il “lord protettore” non smarrisca lumi e saggezza. Ma tutto questo chi lo può garantire per il futuro?