Si stima che le operazioni «high frequency trading», le transazioni ad alta frequenza, rappresentino il 70% di tutte le transazioni borsistiche negli Usa e circa il 40% di quelle effettuate in Europa. In Italia la Consob nel 2012 le quantificava intorno al 14% di tutte le contrattazioni.
Tali operazioni avvengono tramite sofisticatissimi software ultra veloci, guidati da complicati algoritmi matematici, e con l’intento di lucrare su piccolissime variazioni di valore. Gli speculatori operano sui mercati di azioni, obbligazioni, strumenti derivati e commodities generando enormi quantità di transazioni giornaliere e utilizzano la strategia Hft per trasformare anche margini minimi in forti guadagni.
Il metodo più frequente è quello di utilizzare supercomputer che operano in micro secondi piazzando i propri ordini in anticipo rispetto alle grosse transazioni con un evidente e notevole vantaggio sui grandi investitori istituzionali come i fondi comuni, i fondi pensione o le stesse banche. Ciò permette di conoscere e anticipare la direzione della domanda, dell’offerta e dei prezzi. Sarebbe una sorta di «insider trading automatico», contrattazioni fatte sfruttando sistemi accessibili solo ad operatori privilegiati.
È ciò che accadeva lo scorso venerdì 2 ottobre. Alle 14.30 l’euro si cambiava a 1,115 verso il dollaro, mezz’ora dopo arrivava a 1,27. L’oro, da 1.109 dollari l’oncia, un’ora dopo saliva a 1.140. In meno di un’ora quindi i mercati erano stati colpiti da scosse improvvise e da modificazioni profonde. Era successo che il governo americano aveva dichiarato che l’aumento dell’occupazione nel mese di settembre era stato inferiore alle aspettative. Tale annuncio ha fatto temere che l’aumento del costo del denaro da parte della Fed, di cui si stava parlando, sarebbe potuto slittare. Teoricamente, quindi, il dollaro si sarebbe indebolito nei confronti dell’euro e la domanda di oro sarebbe cresciuta.
Qualche secondo prima dell’annuncio governativo relativo al dato occupazionale si erano messi in moto i grandi operatori finanziari, tra cui la Goldman Sachs e la Morgan Stanley, che intervengono sui mercati con le suddette operazioni Hft. Operazioni Hft sono fatte ogni minuto, ma si mettono in azione in modo più sistematico e potenzialmente devastante ogni qualvolta si presenti una decisione o una valutazione con importanti conseguenze di politica economica. Ci sono anche transazioni Hft molto complicate, spesso nemmeno controllate dagli stessi speculatori. Come avvenne il 6 maggio 2010 quando i programmi Hft impazzirono e i computer provocarono il tracollo di 700 punti dell’indice DJ.
Quel giorno il mondo venne a conoscenza che i mercati finanziari e monetari non erano più quelli delle contrattazioni «alle grida» visti centinaia di volte nei film di Hollywood ma erano passati sotto il controllo del «grande fratello» informatico, quello dei super computer programmati ad operare in automatico. Anche in questo campo mancano le regole, nonostante in molti paesi vengano applicate sanzioni e multe.
Non mancano i fautori del nuovo corso. Essi sostengono che la stragrande maggioranza delle transazioni sono perfettamente legittime, difendono l’Hft come un fattore di efficienza dei mercati, che li rende più liquidi abbassando i costi del singolo investimento. Si afferma che gli operatori del mercato sono i primi interessati alla regolarità e all’autodisciplina.
Anche Alan Greenspan, l’ex governatore della Fed, lo diceva a proposito dei banchieri fino al 2007. Secondo noi non si possono lasciare i mercati finanziari in ostaggio di speculatori e di computer con il «pilota automatico». Le economie sottoposte alla spada di Damocle di una finanza senza regole non garantiscono il futuro di sicurezza cui tutti aspiriamo.