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Rai, cosa vuol dire essere un’azienda di servizio pubblico

Occuparsi di televisione – e specie di Rai, cioè di servizio pubblico – significa occuparsi del futuro.

Significa essere consapevoli del “potere morbido” del linguaggio televisivo, che si insinua negli ascoltatori e, dunque, nella cultura di un’epoca condizionandone le scelte, spesso anche valoriali. E’ un potere oggi ancor più complesso da gestire, per le forti implicazioni formative sulle generazioni degli italiani di domani, generazioni certamente multietniche e multiculturali: un compito che richiede responsabilità e coraggio di osare per essere al passo con i tempi, per continuare ancora ad essere ‘servizio pubblico’ in una società in profonda e veloce trasformazione.

La funzione di servizio pubblico della Rai è stata palese negli anni del dopoguerra, quando la televisione ha concorso in modo decisivo al processo di alfabetizzazione degli italiani, contribuendo altresì a unificare i dialetti in un unico linguaggio comune.

Erano gli anni in cui la Rai rappresentava, da sola, tutta l’informazione e il divertimento degli italiani.

L’ascesa delle tv commerciali, alla metà degli anni ’70, è stato probabilmente il vero ‘nemico’ per la Rai, al quale tuttavia non si è saputo rispondere con quel deciso innalzamento della qualità dell’offerta televisiva, che invece sarebbe stato indispensabile. Per oltre vent’anni ci si è ‘accodati’ agli standard imposti dalla televisione commerciale. E, in più, con l’obbligo di un canone che, a quel punto, assumeva il sapore di un’imposta ingiusta e inutile.

Per tornare a crescere, la Rai deve ripartire proprio da qui: dal senso di questa sua mission, in un’epoca così diversa dalle precedenti. Un’epoca multietnica, multireligiosa, multiculturale, multimediatica.

Bisogna osare, ripensare cosa vuol dire essere un’azienda di servizio pubblico. Avere chiari i valori che vogliamo diffondere e le responsabilità che ci assumiamo. E domandarsi cosa chiedono oggi i telespettatori, veri arbitri della partita. Se si sapranno offrire programmi che divertano, educhino, formino ai valori e al futuro e aprano alla cultura, la ragione per cui pagare un canone sarà evidente a ciascuno. Semplicemente perché sarà il giusto corrispettivo di un elevato servizio reso.

Ma la funzione educativa (o diseducativa) della televisione è, e continuerà ad essere, un fatto. In questo senso mi pare una buona idea, quella ventilata da alcuni che vorrebbero togliere gli spazi pubblicitari dai programmi dedicati ai bambini. Una visione che rilancia verso una direzione virtuosa. Servono idee, e la creatività italiana può essere la vera risposta. Anche come volano di crescita economica e di posti di lavoro.

Cosa vuole essere la Rai? Che vuol dire oggi fare ‘servizio pubblico’? Le implicazioni di scelte come queste sono evidenti: la qualità delle proposte televisive è la chiave di volta per indirizzare la società di domani verso quel patrimonio di valori che assicurino il rispetto reciproco, la sacralità della vita e la pacifica convivenza.

Carlo Costalli

Presidente Movimento Cristiano Lavoratori – MCL

(Articolo pubblicato su L’Unità)



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