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Renzo vacci Piano a Mosca

Sarà Renzo Piano a immaginare il futuro del GES-2. Uno spazio urbano, giusto alle spalle del Cremlino, oggi abbandonato. Ieri una vecchia fabbrica, oggi destinata – nell’idea di Piano – a diventare una fabbrica culturale. Quello di un architetto italiano a Mosca è un fatto difficile da decifrare.
Andate prima qui, sul sito del RBBW (Renzo Piano Building Shop). Vedrete dove sono ubicati le principali realizzazioni disegnate dallo studio dell’architetto più importante d’Italia. Poi andate qui, sul sito dell’ATP (Association of Tennis Professionals), dov’è riportata l’ubicazione dei tornei di tennis professionistico nel mondo. Ecco, le due mappe stanno in un rapporto di diretta proporzionalità. A conferma che il circuito delle grandi realizzazioni e, quindi, dei grandi architetti, segue gli itinerari raggiunti dalla grande finanza e dai grandi interessi. Difficile credere che siano tutte periferie da redimere con il salmodiare della liturgia culturale, laica e acriticamente progressista.
In Costa Azzurra, ci sono i ricchi burocrati russi che vengono a spendere intere fortune al Casinò a bordo di auto lussuose con attorcigliate donne bellissime. Il Mediterraneo è solcato dai più grandi e più tecnologici super yachts che sono di proprietà di magnati russi del petrolio.
Alla stessa maniera, le grandi archistar si muovono al seguito dei dollari, salendo e scendendo sulle montagne, russe pure quelle, della finanza che genera trilioni di bolle di debito derivato. Tutto qui.
Non c’è la forza di un’idea dietro, come fu per San Pietroburgo che fu costruita in mezzo secolo tutta assieme sopra l’acqua della Neva, che fa da lievito ai progetti. Nessuna utopia. Non c’è Musorgskij che scava dentro al cuore russo fino a trovarne le note che mettono in risonanza l’indole di tutto un popolo: quelle delle protjažnaja.
Una grande opera di architettura, oggi, è un mero pretesto finanziario. La loro imponenza, la ricercatezza dei materiali hanno come unico obiettivo quello di santificare il capitalismo che per sostenersi ha bisogno di smuovere, come un enorme mulinello, tutti i settori dell’economia di cui si ciba.
Le betulle, la luce, la fabbrica della cultura sono solo delle imposture. Immagini evocative sotto cui mettere la ventiquattr’ore piena di dollari. Che, manco a dirlo, vengono dalla Novatek, colosso degli idrocarburi. Il progetto di Piano, come di una qualunque archistar alle prese con un pezzo di Mosca, finirà diritto al pregiudizio di vedere la Russia sotto la lente sovietica. E quindi ecco la camurria della fabbrica. Roba da “robot” che non a caso in Russia, nella traslitterazione del cirillico, significa lavoro.
Sarà una lanterna – dice il Senatore –. Ma la lanterna sa troppo di Genova e troppo poco di Russia. Quella della lanterna è luce prodotta e non scalda. Semmai la contessina Natasha dovesse mettere piede dentro al GES-2, non sarà presa dall’incontenibile desiderio di ballare. Perché la luce a Mosca è luce di ritorno, quella che viene dal riflesso di altra luce sulle santissime icone bizantine. Non c’è posto al mondo più plurale della Russia. E non c’è posto più caro ai Russi della loro capitale. Che tiene dentro di sé tutto il mondo. Dai mongoli ai tatari, dai cristiani ai musulmani. Se Piano vuole veramente toccare Mosca, foss’anche una fabbrica, vada prima Òptina Pustýn’.

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