«Sin dal 2014 la Russia ha usato una forma avanzata di guerra ibrida in Ucraina applicando un principio che i russi chiamano “reflexive control”… Mosca ha usato questa tecnica con grande perizia per spingere gli Usa e gli alleati europei a restare largamente passivi davanti agli sforzi russi di smantellare l’Ucraina con strumenti militari e non militari». Inizia così un lungo saggio della slavista Maria Snegovaya – un Ph.D a Mosca, ma attualmente alla Columbia University – pubblicato recentemente dall’Istituto americano per lo studio della Guerra (ISW).
In un conflitto il «controllo riflesso» è un modo per convincere un avversario a fare delle scelte che facciano indirettamente il gioco del Cremlino (ad esempio spingere il “nemico” all’inazione, oppure dividere politicamente la coalizione che lo sostiene, seminando confusione, per arrivare allo stesso risultato). Questo pattern strategico viene riassunto dalla Snegovaya in cinque punti:
1) «Smentire operazioni, o negare l’esistenza, di truppe russe coinvolte nel conflitto»;
2) «Convincere gli avversari che il ruolo russo è in ogni caso limitato e in ultima analisi accettabile»;
3) «Sostenere nelle sedi internazionali che la Russia è un paese interessato, piuttosto che un attore direttamente coinvolto nel conflitto»;
4) «Compiere azioni di disturbo nei confronti dell’avversario – ad esempio sorvoli o ricognizioni a lungo raggio – che aumentino la tensione e rendano critica ogni contromossa»;
5) Utilizzare massicciamente strumenti di propaganda per rendere credibili le tesi del Cremlino».
Il quadro illustrato dalla Snegovaya, per quanto relativo alla sola Ucraina, lo si può trasferire anche in altri contesti perché nasce da precise valutazioni geopolitiche. Lo spiega bene Mark Galeotti, della New York University, che qualche mese fa ha ricostruito i fondamenti cardine su cui si fonda la guerra ibrida – di cui il reflexive control è uno dei principali strumenti – traducendo e commentando un breve saggio di Valery Gerasimov, nominato da Putin nel 2012 capo dello Stato Maggiore Congiunto.
«Le vere regole del conflitto sono cambiate – scrive Gerasimov sul Military Industrial Kurier – per cui raggiungere obiettivi strategici e politici oggi richiede un maggiore utilizzo di strumenti non militari che in molti casi hanno dimostrato un’efficacia superiore al potere che una volta si attribuiva alle armi». E poi ancora: «L’uso dichiarato delle forze armate, spesso sotto la copertura di operazioni di peacekeeping e di gestione delle crisi, arriva solo ad un certo stadio, quando i tempi sono maturi per ottenere il successo finale nel conflitto». Poi riferendosi alle insurrezioni in Nord Africa scrive: «Ovviamente sarebbe facile per chiunque sostenere che gli eventi della Primavera Araba non sono un conflitto classico e quindi che per i militari non ci sia niente da imparare. Forse è vero l’esatto contrario, ovvero che sono un esempio tipico della guerra nel XXI secolo».
Esistono dei fondamenti culturali, militari o sociali che abbiano richiesto l’applicazione di questo principio come unica strategia applicabile? Chi si è occupato dell’argomento ne sintetizza alcuni: il rifiuto russo del mondo unipolare, la debolezza russa scaturita dal processo di transizione dopo il 1991 che ha richiesto il parziale smantellamento del suo settore militare-industriale, il collasso finale dell’impero sovietico che Putin in diverse occasioni ha definito la «la più grande tragedia del XX secolo».
Resta il fatto che le parole di Gerasimov sono molto chiare, e che i cinque strumenti del “controllo riflesso” citati dalla Snegovaya, con qualche variazione dovuta a specificità locali, si possono applicare anche in altri teatri. È la stessa slavista della Columbia University a fare il collegamento finale: «La dottrina del reflexive control (adottata in Ucraina) ha avuto successo nel sorprendere l’Occidente in Siria. L’Occidente deve fare i conti con la realtà, quindi adattarsi o prendere dei provvedimenti».