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Corrado Lorefice, chi è (e cosa pensa) il nuovo vescovo di Palermo

L’arcivescovo di Bologna negli anni del Concilio Vaticano II, cardinale Giacomo Lercaro; il padre costituente e religioso nonché ispiratore del cattolicesimo democratico Giuseppe Dossetti; quindi il sacerdote palermitano ucciso dalla Mafia don Pino Puglisi. Sono questi i tre uomini di Chiesa presenti nel pantheon di monsignor Corrado Lorefice, fino a qualche giorno fa semplice parroco di Modica (Ragusa) nella Diocesi di Noto, scelto a sorpresa da Papa Francesco per succedere al cardinale Paolo Romeo nella guida dell’arcidiocesi di Palermo. Da prete di strada a pastore con l’odore delle pecore, sono tante le definizioni affibbiate in questi giorni a don Lorefice, il quale – al di là delle letture socio-politiche che lo catalogano nella schiera dei presunti progressisti – può essere sicuramente annoverato tra le file di chi vanta una predilezione per i poveri. Non per puro pauperismo, ma per un impegno innanzitutto evangelico.

IL LIBRO SU DOSSETTI E LERCARO

Gli stessi studi e la stessa attività pubblicistica di don Lorefice fanno riferimento a quei tre pilastri citati. Nel 2009 ha conseguito il dottorato in Teologia presentando una tesi dal titolo “La Chiesa e il mistero di Cristo nei poveri. G. Dossetti e la formazione del discorso sulla povertà tenuto al Concilio Vaticano II dal card. G. Lercaro”. Un’attività di ricerca poi sfociata nel volume “Dossetti e Lercaro. La Chiesa povera dei poveri nella prospettiva del Concilio Vaticano II” pubblicato nel 2011 dalle Edizioni Paoline. Si tratta di un testo che guarda alla Chiesa con una “angolazione conciliare”. “Il rigoroso discorso del libro di don Corrado – scrive don Pino Ruggeri nella presentazione- aiuta a capire come temi di tale genere comportino, da una parte una lucida lettura della realtà – come quella di Lercaro sull’idolatria della società del benessere, che dovrebbe renderci avvertiti di come entrano in noi modelli che poco spazio effettivo danno ai poveri e al Signore – e, dall’altra, soprattutto un’unzione esistenziale, che leghi ascolto e obbedienza alla Parola ed effettiva povertà nello stile di vita e concreta condivisone con i poveri”.

LA PREDILEZIONE PER I POVERI

Se c’è un aspetto su cui don Lorefice si trova in perfetta sintonia con Papa Francesco è la convinzione che per la Chiesa la predilezione per i poveri sia teologica prima ancora che sociale e culturale. Il nuovo arcivescovo di Palermo lo aveva spiegato bene in un suo intervento al convegno diocesano di Noto del 29 settembre 2009. “Come Dio ha preferito e scelto di rendersi presente nella storia umana nell’atto della predilezione dei poveri e nel segno della povertà – diceva -, anche la Chiesa deve camminare nel mondo prediligendo i poveri e facendosi povera. Nella Chiesa deve continuare a rendersi presente la ‘divina povertà di Cristo’”. In questo senso, “l’opzione preferenziale per i poveri diviene così un segno messianico per il nostro tempo e una rinnovata opportunità per le chiese a ripercorrere le orme del Signore, per avere comunione con lui”.

CAMBIARE GLI STILI PASTORALI

Questa opzione secondo don Lorefice non può rimanere astratta, deve trovare una declinazione concreta. Da qui il suo avvertimento: “Essa non può essere disgiunta dalla ‘forma’ della condivisione, dal prendere parte alla sorte dei diseredati e degli afflitti. Chi segue Gesù, il Crocifisso risorto, e lo confessa come il Veniente a riscattare definitivamente dal male e dalla morte gli uomini di ogni tempo, percorre la sua stessa via, non conosce l’interesse personale ma assume l’altro nella sua concreta vicenda esistenziale, a maggior ragione se segnata dall’afflizione, dalle conseguenze del ‘ripiegamento’ di quanti in questo mondo esercitano un potere”. Parole queste molto vicine a quelle pronunciate più volte sull’argomento da Jorge Mario Bergoglio, in particolare quando ha invitato a “toccare con mano” i poveri senza limitarsi a fare soltanto un piccolo gesto di elemosina. “Da qui – continuava Lorefice – il richiamo a cambiare gli stili pastorali perché corrispondano di più alla logica evangelica e non a quella del mondo e a esprimere i segni del regno. E comunque il farsi carico delle fatiche, delle esigenze dei più poveri, la ricerca di soluzioni, gli strumenti messi in atto, ‘non vanno misurati in base al successo e all’efficacia umana’ ma devono esprimere ‘l’esigenza di non conformarsi alla mentalità di questo mondo, prefigurando invece la pace del Regno messianico’”.


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