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Vi racconto come sono entrata nella black list dell’Azerbaijan

Il governo dell’Azerbaijan ha aumentato la repressione contro i suoi oppositori, facendo registrare un drammatico deterioramento in un panorama già povero di per sé. Negli ultimi anni, decine e decine di attivisti per i diritti umani, politici e civili, giornalisti e blogger sono stati arrestati o imprigionati per motivi politici, costringendo tanti altri a fuggire dal Paese. I conti bancari di gruppi civili indipendenti e quelli dei loro leader sono stato congelati, impedendo loro di lavorare e, in qualche caso, costringendoli a chiudere definitivamente la loro attività. Nuove leggi rendono praticamente impossibile per i gruppi indipendenti riuscire ad avere donazioni dall’estero. E se da una parte la comunità internazionale critica il pugno di ferro del governo in Azerbaijan, dall’altra fallisce nell’agevolare miglioramenti della situazione.

Questo è quanto si legge sul sito di Human Rights Watch quando si cerca “Azerbaijan”.
Non ero mai stata inserita in una “lista nera”, ma nella vita mai dire mai. E’ successo e la cosa mi rende felice, perché essere inclusi nell’elenco delle persone “non gradite” a un dittatore è sempre una nota di merito. Per ottenere questo riconoscimento in realtà ho fatto ben poco, semplicemente il mio lavoro. Da giornalista sono anni che racconto le vicende armene e quelle dell’Azerbaijan, un angolo di mondo che sembra essere tanto lontano, ma che in realtà è molto più vicino di quello che pensiamo. Basta chiedere agli abitanti di Melendugno, in Puglia, che da tempo sono scesi sul piede di guerra per impedire la realizzazione del gasdotto transadriatico TAP, che parte da Baku e arriva sulle coste pugliesi per poi portare il gas del regime azero verso i Paesi del nord Europa. Oggi Simone Zoppellaro, anche lui maglia nera a causa di un servizio in Nagorno Karabakh non autorizzato dal regime di Baku, mi ha informata che siamo nella stessa lista di cittadini italiani a cui è vietato l’ingresso in Azerbaijan. E’ l’ultima versione della black list, pedissequamente aggiornata mese dopo mese dall’ambasciata azera in Italia e da tutte le sedi diplomatiche nel resto del mondo.

Va detto che sono in ottima compagnia. La lista si apre con Antonia Arslan, straordinaria scrittrice armena che, in questo anno in cui cade il centenario del genocidio per mano dei Giovani turchi, ha attraversato in lungo e in largo la Penisola per raccontare cosa è successo in Turchia tra il 1915 e il 1918. E poi ci sono Milena Gabanelli e una schiera di giornalisti e operatori televisivi, colpevoli – probabilmente – di non aver baciato la pantofola del tiranno Ilham Alijev. Nella lista nera azera ci sono però anche artisti, scultori, impiegati dell’accademia di Belle arti di Firenze, architetti, attrici e attori. Tutti “non graditi” al regime.

Diciamolo, per rientrare nella black list azera basta poco. Si deve semplicemente dire la verità, quello che è sotto gli occhi di tutti. Così fece Milena Gabanelli nei primi anni ’90, quando in solitaria raccontò la guerra in Nagorno Karabakh, e così ho fatto io qualche anno fa, tornando nello “Stato sospeso”, in quel fazzoletto di terra tra Armenia e Azerbaijan dove la guerra oggi non è solo un ricordo lontano, ma è un conflitto che può riesplodere da un momento all’altro. E così hanno fatto recentemente due giornalisti del canale televisivo France 2. In un servizio sull’Azerbaijan hanno definito Alijev un dittatore e quella azera una delle più feroci dittature del mondo. Il presidente-raìs se l’è presa a male e li ha minacciati di fargli causa, non potendo utilizzare per i giornalisti stranieri gli stessi metodi che usa per quelli azeri: imprigionamenti senza processo, condanne senza prove, imbavagliamento di qualsiasi attività di opposizione al governo del tiranno. Mi spiace non avere la possibilità di visitare Baku, la capitale del petrolio e del gas mondiale. Provenendo da un Paese libero e democratico e da una cultura altrettanto libera e democratica, trovo assurdo il divieto di poter entrare in un altro paese e di poterlo raccontare. Ma me ne farò una ragione e – soprattutto – aspetterò che in Azerbaijan esploda la democrazia. Stia tranquillo Alijev, quella è una cosa che prima o poi capita anche ai “migliori dittatori”.


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