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Alitalia, Boeing, Eni. Tutte le novità sui biocarburanti fossili

Dopo che il gruppo automobilistico Volkswagen ha dovuto ritirare quasi mezzo milione di veicoli solamente negli Stati Uniti, e dovrà pagare, probabilmente, 18 miliardi di dollari di sanzioni per aver generato, illegalmente, emissioni paragonabili a quelle prodotte ogni anno da tutti i settori industriali del Regno Unito (centrali elettriche, trasporti, industria e agricoltura), diversi esperti hanno detto che questo caso porterà alla “morte del diesel“. Anche se non sarà così, esistono alternative ai combustibili fossili che privilegiano l’ambiente e non solo.

ALITALIA INTENSIFICA

“Alitalia sta lavorando insieme a Etihad Airways, Eni, Sunchem e Boeing a un progetto di biofuel di nuova generazione che ha l’obiettivo di abbattere i costi di produzione dei biocarburanti a ridotto impatto ambientale, in modo da renderli un’alternativa economicamente vantaggiosa”. Così l’ex amministratore delegato di Alitalia, Silvano Cassano, a inizio estate, anticipava alcune innovazioni del settore aereo. “Il biofuel aeronautico potrà rappresentare un nuovo e importante contributo per la sostenibilità ambientale del trasporto nei cieli”, proseguiva Cassano. Alitalia, infatti, sta intensificando i progetti sui biocarburanti di nuova generazione di modo che questi siano realmente un’alternativa economicamente vantaggiosa.

BOEING INSISTE

E anche se il diesel non morirà, “il tempo stringe, bisogna abbassare il costo dei biocarburanti”, ha detto Sean Newsum, direttore del dipartimento strategie ambientali della Boeing Commercial Airplanes, nel corso di una conferenza al Aviation Sustainability Center di Washington. “Le compagnie aeree non vogliono sborsare più di quello che già pagano per i combustibili fossili. Questa è la nostra più grande sfida”, proseguiva Newsum. Secondo la Neste Oil – compagnia finlandese di raffinazione, trasporto, vendita di petrolio e biodiesel – l’utilizzo dei bio carburanti, porterebbe a una riduzione delle emissioni compresa tra il 50% ed il 90% rispetto ai combustibili fossili. Ma quanto vengono effettivamente utilizzati i green fuel?

LUFTHANSA VOLA 

Lufthansa è stata la prima compagnia aerea a usare biocarburanti per tratte giornaliere e, ad oggi, è anche la compagnia più green d’Europa. Il primo “volo verde”, risalente al 2011, era stato effettuato con il 50% di combustibile normale e il 50% di kerosene biosintetico, consentendo risparmi per quasi 1.500 tonnellate di CO2. La compagnia, già nel 2014, aveva dichiarato che stava elaborando nuovi test per sperimentare biocarburanti provenienti da materie prime non alimentari. Proprio questo, infatti, è un punto di forte criticità per diversi esperti che ostacolano l’uso dei biocarburanti cosiddetti di “prima generazione”.

LE CRITICHE

Esistono diversi tipi di biocarburanti che consentono di produrre energie alternative alla benzina e al diesel. Quelli definiti come di prima generazione, sono ricavati da biomasse (cioè la parte biodegradabile di prodotti e residui di diversa natura) derivanti da colture quali mais, colza, soia, palma da olio, barbabietola. Queste biomasse sono effettivamente migliori dal punto di vista ambientale, ma per diversi esperti comporterebbero un aumento, non sostenibile, della domanda agroalimentare a fini energetici. In altre parole, si risolve un problema ma ne se ne genera un altro.

ENI DIVERSIFICA

Eni, nella bioraffineria di Venezia, attualmente utilizza l’olio di palma, ma sta puntando all’uso di biomasse alternative non in conflitto con il mercato agroalimentare, tra cui oli esausti di frittura, grassi animali, scarti della raffinazione di oli vegetali. In stretta collaborazione con il dipartimento di Ricerca e Sviluppo Tecnologico, Eni sta anche valutando l’utilizzo di feedstocks di tipo avanzato quali residui agricoli e forestali, ma anche rifiuti urbani e coltivazione di alghe particolari.

Oli microbici

Alcuni di questi residui provengono da scarti di natura ligninocellulosica, come cimali, ramaglie, potature, ma anche segature, cortecce e trucioli. Una volta trasformati in zuccheri semplici, subiscono un processo di fermentazione in grado di produrre oli simili a quelli di colza, soia, girasole e palma. Queste, essendo già disponibili sul territorio nazionale, permettono di ovviare all’importazione massiva degli oli vegetali.

Microalghe

Un’altra alternativa alla produzione di oli è la coltivazione di microalghe, caratterizzate da un elevato contenuto lipidico, un’alta resa in olio e in biodiesel e un basso sfruttamento del suolo. Per ora queste sono coltivate solamente in impianti pilota (vasche presenti nelle raffinerie di Gela, in Sicilia) e comportano elevati costi di investimento, ma si prevede che nel medio-lungo termine la situazioni cambi. Infatti, attraverso la produzione congiunta di diversi co-prodotti (prodotti farmaceutici e nutraceutici, additivi per mangimi animali, bioplastiche ecc.) e di altri processi (quali il recupero dei gas di scarico e il trattamento delle acque reflue), la produzione di biodiesel da microalghe, oltre che sostenibile, potrebbe diventare una soluzione economicamente percorribile.

Rifiuti

In Italia, ogni anno, vengono prodotte circa 6 milioni di tonnellate di rifiuti di tipo organico provenienti dall’industria alimentare, dai rifiuti urbani e dai fanghi prodotti dagli impianti di depurazione delle acque domestiche. Attualmente lo smaltimento di tali rifiuti è destinato alla produzione di energia elettrica. Anche in questo campo, Eni sta compiendo attività di ricerca per la trasformazione dei rifiuti in un olio che potrebbe essere utilizzato come carica per le sue bioraffinerie.

La morte del diesel avrà eredi smart, green, e un giorno, si spera, anche cheap.

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