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Banca Marche, Etruria, Cari Ferrara. Chi paga il conto del salvataggio

Popolare di Sondrio, popolari

Quattro banche “buone”, con i depositi, i conti correnti, le obbligazioni ordinarie, e una “cattiva” con le sofferenze cumulate che subiranno una svalutazione da 8,5 a 1,5 miliardi di euro, in modo da agevolare la rapida vendita degli istituti sul mercato. Così sintetizza oggi il quotidiano la Repubblica l’operazione di salvataggio di 4 banche commissariate.

I FATTI

Diventa realtà dunque il salvataggio delle 4 banche commissariate il cui destino era in bilico da mesi: CariFerrara, Banca Marche, Banca Etruria e CariChieti potranno continuare ad operare grazie a 3,6 miliardi di euro interamente a carico del sistema bancario, verranno liberate dai crediti in sofferenza, aggiungeranno il prefisso ‘nuovo’ al proprio nome e verranno traghettate verso la cessione nel minor tempo possibile “al fine di massimizzare il prezzo di vendita”.

(ECCO LA BOZZA DEL DECRETO)

IL COSTO PER IL SISTEMA

Il costo è di circa 3,6 miliardi: 1,7 miliardi a copertura delle perdite delle banche originarie, che si spera di recuperare almeno in minima parte grazie alla vendita a investitori specializzati di mercato a un valore molto basso; 1,8 miliardi per ricapitalizzare le quattro nuove banche (che terranno il nome precedente preceduto da “Nuova”), e “che si spera di recuperare al più presto con la vendita all’asta delle stesse; circa 140 milioni per dotare la banca cattiva del capitale minimo necessario a operare (la bad bank sarà privo di licenza, opererà unicamente al fine di collocare nel mercato i propri prestiti deteriorati)”, sintetizza Repubblica.

IL DECRETO DEL GOVERNO

Il consiglio dei ministri, convocato in via eccezionale ieri pomeriggio, ha dato il via libera al decreto legge per la risoluzione dei quattro istituti, con un provvedimento che, sottolinea il governo, “consente di dare continuità all’attività creditizia – e ai rapporti di lavoro – tutelando pienamente i correntisti” e, soprattutto, “non prevede alcuna forma di finanziamento o supporto pubblico alle banche in risoluzione o al Fondo nazionale di risoluzione” ed esclude “il ricorso al bail in”, ovvero al salvataggio delle banche in difficoltà con i fondi di azionisti, obbligazionisti e correntisti sopra i 100.000 euro. (QUI IL COMUNICATO DEL GOVERNO)

IL VIA LIBERA DI BRUXELLES

L’operazione è stata oggetto di un lungo braccio di ferro con l’Unione Europea, che ha sempre visto il ricorso al Fondo interbancario per la tutela dei depositi come una forma di aiuto di Stato. Ieri invece il Governo ha incassato incassato l’ok all’operazione che, spiega il commissario Ue Margrethe Verstager, “riduce al minimo l’uso dei fondi pubblici e le distorsioni della concorrenza”. (QUI IL COMUNICATO DELLA COMMISSIONE UE)

I DETTAGLI

Lo schema seguito prevede il trasferimento dei crediti difficili dei quattro istituti — pari a 8 miliardi complessivi e svalutati a 1,5 miliardi — ad un’unica bad bank e la costituzione di quattro nuove banche, «bridge bank» (banche ponte) pulite dalle perdite e ricapitalizzate. A fornire le risorse necessarie — 1,7 miliardi per la copertura delle perdite, 1,8 per la ricapitalizzazione e 140 milioni per la bad bank — è il neonato Fondo di risoluzione nazionale, che dovrà essere alimentato dal sistema creditizio, la cui liquidità è stata anticipata dai tre maggiori gruppi italiani Unicredit, Intesa Sanpaolo e Ubi.

(ECCO LA BOZZA DEL DECRETO)

I FINANZIAMENTI

Il fondo di risoluzione, spiega Bruxelles in una nota, erogherà 3,6 miliardi di euro alle banche ponte, per capitalizzarle e per coprire la differenza negativa fra gli attivi trasferiti e le passività: i costi dell’operazione sono così interamente a carico del sistema bancario, che potrà tuttavia recuperarli con il perfezionamento dell’operazione nei prossimi mesi, tramite il recupero crediti, la cessione delle banche salvate o di parte di asset delle stesse a terzi interessati, che adesso potranno rilevare attività sanate dai crediti deteriorati.

IL RUOLO DI BANKITALIA

Le 4 nuove banche ‘buone’ saranno provvisoriamente gestite, sotto la supervisione dell’Unità di Risoluzione di Bankitalia, da amministratori da questa designati: in tutti e quattro i casi la carica di presidente è rivestita da Roberto Nicastro, ex direttore generale di Unicredit. I crediti in sofferenza di tutte le quattro banche verranno invece trasferiti a una unica bad bank, con il fondo di risoluzione che garantirà questa misura concernente gli attivi deteriorati rafforzando ulteriormente i bilanci delle banche ponte. “Il beneficio connesso a tale garanzia – spiega l’Ue – è stato quantificato approssimativamente in 400 milioni di euro di ulteriore supporto del fondo di risoluzione”.

CHI PAGA IL CONTO

“Si tratta dunque di un’operazione complessa, che utilizza le nuove procedure della direttiva europea da poco recepita in Italia e che non impiega nel salvataggio soldi pubblici”, scrive il Corriere della Sera. A pagare – con l’azzeramento del capitale eroso dalle perdite e la svalutazione delle sofferenze sono solo gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati mentre ad assicurare la liquidità necessaria è lo stesso sistema creditizio. “E’ stato quindi evitato il ricorso al bail-in, la regola del salvataggio interno che entrerà in vigore il 1 gennaio assieme all’intero schema del meccanismo di risoluzione unico delle crisi, che chiama a sopportare i costi del salvataggio anche gli altri obbligazionisti ed i depositanti con più di 100 mila euro”, ha aggiunto il Corriere della Sera.

(ECCO LA BOZZA DEL DECRETO)

COSA FA INTESA

La partecipazione al salvataggio dei quattro istituti italiani in crisi costerà a Intesa Sanpaolo 475 milioni di euro. E’ quanto ha comunicato in una nota l’istituto guidato da Carlo Messina. La banca finanzierà il fondo di risoluzione con 1,33 miliardi di euro di prestiti. Anzitutto Intesa Sanpaolo erogherà a favore del fondo di risoluzione – incaricato di salvare Banca Marche, Banca Etruria, Carife e Carichieti – un finanziamento da circa 780 milioni di euro, corrispondente alla quota di pertinenza di un finanziamento complessivo di 2.350 milioni di euro, che verrà rimborsato a dicembre 2015 con i contributi che saranno stati versati al fondo dal sistema bancario italiano. Al fondo di risoluzione verrà concesso un secondo finanziamento da 550 milioni, pari alla quota di pertinenza di un finanziamento da 1.650 milioni, con scadenza a 18 mesi meno un giorno, a fronte del quale la Cassa Depositi e Prestiti ha assunto un impegno di sostegno finanziario in caso di incapienza del Fondo. Quanto agli oneri del salvataggio, includono un contributo straordinario al Fondo pari a circa 380 milioni di euro ante imposte, che impatteranno sul conto economico del quarto trimestre, in aggiunta ai circa 95 milioni relativi al contributo ordinario per il 2015 già spesati nel primo semestre dell’anno.

I CONTI PER UNICREDIT E UBI

Per l’istituto guidato da Federico Ghizzoni, secondo l’Ansa, il conto sarà di 300 milioni: al fondo di risoluzione il gruppo ha già versato 90 milioni, cui se ne aggiungeranno 210 milioni come impatto dei versamenti ordinari e straordinari che vengono richiesti dal fondo. Il contributo complessivo straordinario di Ubi Banca sarà invece di poco superiore ai 91 milioni di euro lordi, comprensivi dei 22,8 già accantonati.

LA RICOSTRUZIONE DI REPUBBLICA

Ha scritto oggi il quotidiano la Repubblica: “Prima i fallimenti dei tentativi dei quattro commissari di vendere o far aggregare le banche in crisi, e poi negli ultimi giorni i ripetuti no di Bruxelles ai piani prospettati da Roma, hanno costretto a una corsa disperata contro il tempo: il bail-in sarebbe stato un colpo terribile alla fiducia nel sistema bancario, proprio ora che la raccolta torna a crescere. Certo il decreto di recepimento della direttiva europea non poteva non prevedere il bail-in, ma l’entrata in vigore di quest’ultimo tassello delle nuove procedure di risoluzione è fissata all’1 gennaio 2016, mentre il resto è operativo immediatamente. In pochi giorni, anzi in poche ore, il coordinamento di governo, con in prima linea il ministero dell’Economia, Banca d’Italia, Consob e banche italiane (a cominciare da quelle che anticiperanno le risorse per il salvataggio, Intesa, Unicredit e Ubi) ha permesso di arrivare alla conclusione annunciata ieri sera dal Consiglio dei ministri”.

IL COMMENTO DEL CORRIERE

Ha scritto Federico Fubini sul Corriere della Sera di oggi: “Il piano iniziale prevedeva l’uso del Fondo di garanzia – risorse private delle stesse banche – per ricapitalizzare le quattro aziende. Poiché la regia sarebbe stata della Banca d’Italia, la Commissione Ue ha deciso che era un aiuto di Stato; in base alle regole europee diventava possibile solo se gli obbligazionisti dei quattro istituti avessero accettato perdite per alleviare la situazione delle aziende e ridurre l’aiuto «di Stato» (virgolette d’obbligo). 
Per evitare che questo precedente trasmettesse uno choc all’intero sistema, si è passati al piano di riserva: veniva meno la regia della Banca d’Italia, dunque l’aiuto di Stato. Toccava a 208 istituti italiani versare volontariamente ciascuno la propria parte del capitale per il salvataggio. È qui che il sistema ha funzionato peggio. Le grandi banche hanno accettato per evitare che la liquidazione di quattro istituti scaricasse potenzialmente il contagio su altri. Molti dei piccoli banchieri invece hanno preferito passare la mano, non rischiare contestazioni dei soci e abbandonare i quattro istituti al loro destino. Erano convinti che la liquidità della Bce li avrebbe tenuti al riparo dall’onda d’urto. Ciascuno ha badato al proprio particolare. 
Così si è arrivati a ieri. Se il parlamento avesse fatto entrare in vigore l’attuazione delle norme europee di salvataggio a inizio anno, anziché la scorsa settimana, ci si sarebbe arrivati prima e sarebbe costato centinaia di milioni o alcuni miliardi in meno. I ritardi hanno lasciato quegli istituti a dissanguarsi e ora servirà più capitale. 
Alla fine i correntisti sono protetti in pieno, gli obbligazionisti ordinari anche. Azionisti e obbligazionisti subordinati, più a rischio, perdono oltre 700 milioni di euro. Presto qualcuno dirà che il governo punisce i risparmiatori, ma di fatto quelle somme non esistevano già più, erano azzerate nelle perdite delle banche. Piaccia o no, in Europa funziona così”.



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