Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Tino Oldani apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi
A Roma, al ministero della Giustizia, c’è un magistrato che parla poco, ma lavora molto, e soprattutto lavora bene. È Mario Barbuto, già presidente del Tribunale e della Corte d’appello di Torino, chiamato un anno fa dal governo di Matteo Renzi a guidare la Direzione dell’organizzazione giudiziaria del ministero di via Arenula. Che lavori bene, lo provano i numeri: grazie al suo impegno, l’arretrato nazionale delle cause civili, invece di aumentare come accadeva negli anni precedenti, è diminuito di 700 mila pendenze, passando da 5,2 milioni di cause a 4,5 milioni, con un trend in ulteriore discesa. Un successo che Barbuto ha ottenuto suggerendo ai 140 tribunali civili sparsi per l’Italia di fare proprio il metodo di lavoro che lui stesso ha ideato e sperimentato a Torino, dove in pochi anni è riuscito a dimezzare il numero delle cause civili arretrate e a ridurre quasi a zero quelle giacenti da più di tre anni. Il principio basilare di questo metodo, ha spiegato Barbuto, è talmente semplice da sembrare banale: targare i fascicoli con l’anno di iscrizione a ruolo, trattare innanzi tutto i vecchi processi, e soltanto dopo averli esauriti passare a quelli nuovi. Una svolta a costo zero, che a Torino consentì di ridurre l’arretrato del 26% in poco tempo.
Grazie a quel risultato, il «metodo Barbuto» è stato studiato nel resto d’Europa ed elogiato dal tribunale di Strasburgo. Tanto che ora viene chiamato dai giuristi «metodo Strasburgo», compreso l’autore, che definisce «Programma Strasburgo»le ultime disposizioni da lui inviate ai tribunali (la lettera è sul sito del ministero), insieme ai risultati ottenuti nel primo anno di lavoro. La radiografia della giustizia che ne esce, grazie a un team di consulenti guidati da Roger Abravanel che ha analizzato 3 milioni di cause, è molto ampia: oltre a segnalare l’inefficienza della maggior parte dei tribunali civili (97 su 140) indicandoli per nome, elogia quei pochi che hanno già raggiunto uno standard migliore della media europeo (27 tribunali; gli altri 16 sono in media Ue), e soprattutto smonta alcuni luoghi comuni sulle cause della lentezza della giustizia civile.
Quest’ultimo punto è forse il più interessante. Per Barbuto, non è vero che la crisi della giustizia civile dipende dalla litigiosità degli italiani. L’indice di litigiosità Cepej (numero di cause civili per 100 mila abitanti), colloca l’Italia allo stesso livello della Francia (2.613 cause), e di poco sopra la media europea (2.602), mentre ben 18 Paesi hanno un tasso di litigiosità superiore al nostro. Anche la mancanza di risorse come causa principali delle performance peggiori «è priva di riscontri univoci». Il problema vero, semmai, è l’insufficiente preparazione manageriale dei capi dei tribunali: sono loro che non sanno organizzare in modo efficiente il lavoro dei magistrati e dei cancellieri alle loro dipendenze.
La dimostrazione? Il tribunale civile di Marsala, ben guidato da Gioacchino Natoli (da poco trasferito a Palermo), grazie al metodo Barbuto è diventato uno dei più efficienti in Italia e di gran lunga il più efficiente del Sud: le sentenze di primo grado vi richiedono in media 461 giorni, contro i 996 di media nei tribunali del Sud e i 597 in quelli del Nord; le cause giacenti da più di tre anni sono appena il 5,7%, contro il 40% di media nel Sud e il 19% nel Nord. Non solo. Roger Abravanel, dopo avere misurato le performance lacunose della giustizia civile, in un commento recente sul Corriere della sera, ha scritto: «I presidenti dei tribunali sostengono che ci sono poche risorse (magistrati e cancellieri), ma i tribunali migliori riescono ad esserlo pur essendo scoperti sull’organico standard quanto i peggiori». Segno evidente che «i capi contano, e che i presidente dei 97 tribunali peggiori hanno un ruolo chiave per migliorarli».
Eccoci al punto chiave: chi nomina i capi dei tribunali? Di certo, non può farlo il governo, in virtù della totale autonomia di cui gode l’ordine giudiziario. Tale potere spetta soltanto al Csm (Consiglio superiore della magistratura), che «sino ad oggi non ha dato prova di una grande volontà di cambiare», sostiene Abravanel. Tutto vero: da anni il Csm si distingue come vertice di una casta che tutela redditi, privilegi e carriera dei magistrati, promuovendo negli uffici giudiziari chi gli pare e piace in base all’anzianità, a prescindere dal merito e dai risultati. Di conseguenza le leve in mano al governo per migliorare la giustizia civile sono ben poche: Renzi può accorciare le ferie dei magistrati, può introdurre il fascicolo elettronico e semplificare le procedure. Ma sui capi dei tribunali non può dire neppure una parola.
Una giustizia civile efficiente è però troppo importante per convincere chi vuole investire in Italia, e la partita non può essere persa per rinuncia. Che fare? Abravanel suggerisce di fare una campagna di comunicazione a tappeto, per spiegare a cittadini e avvocati quali sono i 97 tribunali peggiori. Ovviamente, una campagna condotta da Renzi in prima persona: «Forse, allora, anche il Csm si smuoverà». Un’idea da appoggiare, senza se e senza ma, sperando che Renzi la faccia propria.