Skip to main content

Cosa sta accadendo a Deutsche Bank

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori, pubblichiamo l’articolo di Tino Oldani uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi

Quanto sta accadendo alla Deutsche Bank, maggiore banca tedesca e una delle prime al mondo, impone di drizzare le antenne. Questa banca ha appena annunciato la cancellazione degli utili per due esercizi (2015 e 2016), una maxi perdita di 6,01 miliardi di euro nel terzo trimestre, più il taglio di 35 mila dipendenti sui 98 mila che lavorano nelle sue sedi sparse per il mondo.

L’obiettivo del management è di riportare in sicurezza i conti entro il 2020, oggi in grave squilibrio sotto tutti i punti di vista: patrimonio, costi-ricavi, costi-utili. Il taglio dei dipendenti non dovrebbe impattare sui 4 mila che lavorano in Italia. Ma, in attesa che i fatti la confermino, questa è l’unica nota positiva in una situazione talmente compromessa, al punto che alcuni analisti prevedono il peggio, fino a ipotizzare che la Deutsche Bank possa diventare un nuovo caso Lehman Brothers, il cui fallimento (15 settembre 2008) segnò l’inizio della crisi finanziaria mondiale.

Un analista americano, Michael Snyder, giusto un mese fa ha paragonato sul suo blog le due vicende bancarie. Prima del crollo improvviso, anche alla Lehman c’erano stati dei licenziamenti per tagliare i costi. Ma ciò non bastò, e la banca Usa finì travolta dalle ingenti perdite sui derivati, con effetti sistemici. Che tutto questo possa ora ripetersi, è ritenuto possibile anche dal sito Zero Hedge, da sempre in sintonia con le gole profonde di Wall Street, che ha sottolineato la lunga sequela di infortuni finanziari in cui è incappata la banca tedesca, comprese alcune pesanti multe inflitte dalle autorità Usa di controllo.

Rivediamo il film. Sulla carta, fino a un anno fa, la Deutsche Bank era un colosso mondiale che macinava utili: negli ultimi quattro esercizi i ricavi si sono mantenuti sui 30 miliardi di euro, mentre l’utile è sceso da 4 miliardi nel 2011 a poche centinaia di milioni nel 2012, per risalire a 668 milioni nel 2013 e a 1,6 miliardi nel 2014. Nel complesso un calo della profittabilità del 60%, che ora è sparita di colpo, lasciando il posto a un buco trimestrale di 6,01 miliardi. Le cause sono molteplici. Le più recenti: oneri giudiziari giganteschi e maxi-svalutazione della partecipazione nella banca cinese Hua Xia Bank. Ovvero, la conferma di una conduzione manageriale spericolata, tra illegalità e scommesse sui derivati. Negli ultimi tre anni, ricorda Zero Hedge, Deutsche Bank ha dovuto sborsare 9 miliardi di dollari per contenziosi legali, «diventando una sorta di manifesto di cultura aziendale corrotta». In aprile si è accordata con il Dow Jones per pagare un’altra multa di 2,5 miliardi di dollari (25.472 dollari per dipendente), a cui è seguita una sanzione della Sec (l’Autorità di vigilanza su Wall Street) di 55 milioni di dollari per registrazioni irregolari.

L’esborso potrebbe aumentare, visto che il ministro della Giustizia di Obama, Loretta Lynch, si dice determinata a colpire senza pietà le malefatte delle banche too big to fail, sia americane che europee. Così sulla banca tedesca incombe una sanzione di 2,1 miliardi di dollari da versare al ministero della Giustizia per manipolazione del libor. In precedenza (maggio 2014), la banca tedesca, con una ricerca di liquidità quasi disperata, aveva venduto 8 miliardi di euro di titoli con lo sconto del 30%. Infine, l’incubo maggiore: un’esposizione ai derivati stimata pari a 75 mila miliardi di dollari, venti volte il pil della Germania, con perdite potenziali pazzesche.

In giugno, questa corsa verso il precipizio è costata il posto ai due amministratori delegati, Jurgen Fischen e Anshu Jain. Quest’ultimo, finanziere indiano cresciuto tra gli squali di Wall Street, era stato ingaggiato proprio perché ritenuto un esperto di finanza speculativa. Un mese prima della cacciata, il consiglio d’amministrazione gli aveva addirittura consegnato poteri speciali. Ma dopo che il rating di Standard&Poor sulle obbligazioni della banca è sceso a BBB+, prossimo al livello spazzatura, la sua testa è caduta. E il titolo azionario Deutsche Bank, che un anno fa quotava 50 euro, è crollato a 25 euro.

Dal primo luglio, il compito di riparare i danni e provare a salvare la banca è stato affidato a un nuovo ceo, John Cryan, manager inglese di 54 anni, autore di «Strategy 2020», un piano lacrime e sangue, che parte con il taglio dei 35 mila dipendenti, l’uscita da dieci Paesi e la vendita di asset come Postbank. Se non dovesse farcela, sarebbero guai seri per tutti. Anche per l’Italia. «Se Deutsche Bank dovesse fallire», sostiene l’analista Snyder, «sarebbe un disastro finanziario peggiore di quello di Lehman Brothers: sarebbe come abbattere l’intero sistema finanziario europeo e provocare a livello globale un panico finanziario mai visto prima d’ora. A quel punto, meglio tenere il denaro con sé piuttosto che in banca».

Un’esagerazione? Può darsi. Ma dopo il dieselgate, che potrebbe costare 100 miliardi di euro alla Volkswagen (che ha un capitale sociale di 68 miliardi), la crisi della Deutsche Bank assesta un altro duro colpo alla credibilità sia del management tedesco, che delle autorità vigilanti. Il riferimento al ministro della Finanze, Wolfgang Schauble, e al presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, in questo caso, è voluto. Prima di venire a parlarci di compiti a casa, pensino a quelli non fatti, o fatti male, a casa loro.



×

Iscriviti alla newsletter