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Helmut Schmidt mutilato

Anche l’ex cancelliere socialdemocratico dell’allora Germania occidentale, Helmut Schmidt, morto quasi centenario, alla bella età di 97 anni, sta subendo il solito trattamento omissivo dall’altrettanto solita storiografia della vecchia sinistra. Dove continua a battere il cuore comunista, per quanto il comunismo sia stato travolto dalle macerie del muro di Berlino, alla fine del 1989, o sopravviva in alcuni paesi, piccoli e grandi, sotto forme o folcloristiche, come a Cuba, o capitalistiche, come in Cina.

Schmidt non è stato soltanto un “gigante della politica europea”, come ha giustamente e onestamente scritto di lui Giorgio Napolitano, facendo finalmente all’Unità il piacere e l’onore di un intervento, negatole invece nel dibattito sulla controversa eredità di Enrico Berlinguer. Di cui il presidente emerito ha preferito occuparsi sulla Repubblica di carta, quella fondata dal suo amico Eugenio Scalfari.

Oltre al “gigante della politica europea”, impegnato al pari dei democristiani Konrad Adenauer e poi Helmut Kohl,  ad ancorare saldamente la Germania all’Europa, mirando cioè ad una Germania europea e non ad una Europa tedesca, Schmidt è stato l’uomo chiave, a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, per quel riarmo missilistico dell’Alleanza Atlantica senza il quale il comunismo non sarebbe crollato. Per quanti sforzi avesse fatto a Mosca Michail Gorbachov, con la sua perestrojka, di salvarlo in extremis in versione democratica.

Di fronte alla crescente aggressività dell’Unione Sovietica gestita dal pur vecchio e consunto Leonid Brezhnev, che aveva armato le basi di lancio dell’est europeo dei potenti missili SS 20 puntati contro le capitali dell’Europa occidentale, fu proprio il cancelliere tedesco Schmidt a porre agli Stati Uniti il problema di un’adeguata risposta dell’Alleanza Atlantica. Che, a dispetto delle forti spinte pacifiste delle sinistre di varia tendenza, compresa una parte della stessa socialdemocrazia germanica, avrebbe dovuto attrezzarsi di adeguati mezzi difensivi. Bisognava insomma riarmare con i famosi missili  di crociera Pershing e Cruise le basi della Nato in Europa, e crearne anche di nuove.

Schmidt pose tuttavia agli americani, una volta convintili a imboccare questa strada, una sola condizione: che il suo governo non rimanesse il solo, fra quelli maggiori dell’Europa occidentale, a sostenere e partecipare all’operazione.

In quel momento in Italia c’era una strana maggioranza di governo: i ministri erano tutti democristiani, come il presidente del Consiglio Giulio Andreotti, ma i voti numericamente decisivi di sostegno in Parlamento erano quelli del Pci guidato da Enrico Berlinguer. Che rilasciava interviste, peraltro censurate dall’Unità, in cui dichiarava di sentirsi più garantito  anche lui sotto “l’ombrello” della Nato, ma non intendeva assolutamente collaborare al miglioramento di quella protezione, preferendo evidentemente garantire il vantaggio militare acquisito nel frattempo dal Cremlino.

Quando la situazione internazionale si fece più stringente e dalle parole si doveva passare ai fatti, di fronte ad un governo tentato dalla prospettiva del potenziamento della Nato, Berlinguer colse l’occasione per sfilarsi dalla maggioranza di cosiddetta solidarietà nazionale. Che peraltro gli aveva già procurato forti delusioni elettorali, e aveva perduto per strada il suo regolo con il sequestro e l’assassinio del presidente della Dc Aldo Moro. Per la cui salvezza, strappandolo alle mani dei brigatisti rossi con una trattativa, o un suo surrogato, Berlinguer si era rifiutato di prodigarsi, pur di accreditare il suo partito come forza di governo con la famosa linea della “fermezza”.

Sfilatosi dalla maggioranza il Pci, che usciva così anche dagli anatemi del Cremlino per quella storia dell’ombrello della Nato sotto il quale Berlinguer si era detto più sicuro, il governo italiano si trovò finalmente nelle condizioni di partecipare all’operazione voluta da Schmidt. Condizioni tuttavia che furono consentite, in particolare, dalla convinta disponibilità dei socialisti guidati da Craxi, rappresentati non a caso nei governi successivi a quelli monocolori di Andreotti dal ministro della Difesa Lelio Lagorio. Le loro immagini finirono bruciate, con le bandiere americane, nei soliti cortei pacifisti a senso unico, mancati contro l’Unione Sovietica.

Fu così che si arrivò ad un riarmo della Nato cui Mosca non fu in grado di competere se non dissestando ulteriormente la sua economia, e cedendo quasi di schianto alla realtà, senza che l’Occidente avesse avuto bisogno di lanciarle contro, né per difesa né per offesa, nessuno dei missili allestiti per fronteggiare gli SS 20 di cui i sovietici avevano imprudentemente disseminato le loro basi nell’est europeo.

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