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La Fiom pensa a riempire di diritti un contratto nazionale desueto e dimentica chi non ha lavoro

Siamo e viviamo in un Paese veramente  curioso.

Legislatura e sindacati sono rimasti immobili per decenni di fronte ai cambiamenti radicali che avvenivano in Europa e nel Mondo, e oggi il sindacato decreta il fallimento di una serie di decreti che nel loro insieme costituiscono il famigerato “Jobs Act”.

Esso risulterebbe colpevole di non aver creato occupazione e aver tolto dignità e diritti ai lavoratori. Tali decreti, però, hanno un’anzianità che va dagli 8 mesi ai 2 anni dall’emanazione! Già questo primo rilievo dovrebbe dar conto quantomeno di un’affrettata sentenza, di una certa incomprensione dei più elementari meccanismi di finanziamento del mercato del lavoro e dei “mercati in generale”.

Ma non è tutto.  Una parte del Sindacato – la FIOM – che rappresenta una minima percentuale di lavoratori e un’infinitesima percentuale di “cittadini”,  fra i quali ovviamente troviamo gli inoccupati,  vorrebbe un referendum per abrogare i provvedimenti del Jobs Act e il 21 novembre scorso è scesa in piazza per rivendicarne il superamento. Ricordandosi, tuttavia, della sua natura e del suo ruolo sindacale, troppo spesso piegato a ispirazioni di tipo politiche, ha parlato anche del rinnovo del CCNL dei metalmeccanici. Un contratto nazionale, desueto, che si tenta ancora di riempire di diritti (o meglio presunti diritti).,e non si pensa invece a riempire di opportunità chi il lavoro non ce l’ha o l’ha perso! Si immagina ancora di poter dare una “stabilità”, una falsa rappresentazione della realtà, ai cittadini e lavoratori contraddicendo tutto ciò che è la situazione attuale dal punto di vista sociale, economico e finanziario. Pensiamo ancora ad una realtà, profondamente mutata, che va disciplinata con il contratto collettivo nazionale!

Il nostro è un Paese curioso.

Dall’altra parte c’è chi ritiene che il Jobs Act appena nato sia già vecchio ed, addirittura, che possa costituire un limite alla “nuova” occupazione. In effetti, tutto ciò che viene identificato come “Sharing economy” potrebbe subire una frenata o arresto in considerazione dell’irrigidimento delle libertà contrattuali a favore del lavoro subordinato.

Insomma, come al solito in Italia non va bene niente nemmeno potenzialmente, nemmeno se ancora non possiamo verificarne gli effetti. Sorprende come un provvedimento di legge possa essere nello stesso tempo sia troppo di destra, sia troppo di sinistra. Forse il problema è che raccogliamo le osservazioni, censure e lamentele di una minoranza che non è in alcun modo rappresentativa, ma soltanto capace di alzare la voce più di altri e risultare in questo modo anche più affascinante del punto di vista mediatico.

Io mi domando come mai nessuno si stia occupando delle reale promessa che il Jobs Act deve mantenere: l’implementazione ed il funzionamento delle politiche attive. Continuiamo ad immaginare che si possa blindare un contratto o assicurare il futuro dei giovani garantendo la reintegrazione in caso di licenziamento! Incredibile!

Il futuro si garantisce con la creazione di un Paese dove le istituzioni funzionano, dove la burocrazia è al servizio del cittadino e non fine a se stessa, dove la ricerca del lavoro è un fatto “istituzionale e collettivo”, non un problema dell’individuo.

Questo è ciò che penso, che in realtà stiamo sbagliando ad ascoltare ciò che forse “vogliamo” sentire ma, soprattutto, sbagliamo a dare voce a chi non ha il senso della realtà, il senso del cambiamento.

Ci vorrebbe responsabilità sociale e non capacità mediatica.

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