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La grande (retro)marcia cinese di Louis Vuitton

Tempo di ripensamenti per Louis Vuitton in Cina. La griffe francese, riporta il Financial Times, ha infatti annunciato la chiusura di tre dei suoi negozi nel Paese, compreso il suo primo outlet in Guangzhou, e di prepararsi a chiuderne altri. La mossa di Louis Vuitton conferma la fase di riposizionamento del mondo del lusso, alle prese con la necessità di un riassetto delle strategie distributive cinesi.

Il mercato del Dragone è stato investito nell’ultimo triennio da una serie di scosse profonde. Anche di natura istituzionale, vista la politica del Governo orientata a promuovere una maggiore morigeratezza e a contrastare la corruzione-di-lusso (fatta, cioè, attraverso regali preziosi). Per giunta, il rallentamento congiunturale e l’improvvisa manovra sui cambi della scorsa estate ha minato la fiducia e il potere d’acquisto da parte della popolazione. Se fino ad oggi la diminuzione di acquisti di lusso in Cina era stata bilanciata dagli acquisti dei turisti cinesi in Giappone ed Europa, ora la crisi sembra globale e comincia a preoccupare i marchi di tutto il mondo.

Le multinazionali, spiega il Financial Times, secondo quanto emerge da indagini statunitensi, sarebbero state sviate da proiezioni eccessivamente ottimistiche sulla crescita della Cina e avrebbero investito nelle città sbagliate. “Per Louis Vuitton, nello specifico, si è trattato di una sovra-esposizione  del brand – ha dichiarato al Financial Times Torsten Stocker, partner della società di consulenza AT Kearney – che non è più apprezzato come in passato in quanto viene oggi identificato come troppo caro per il reale valore del prodotto”. Motivo per cui la chiusura dei negozi decisa dalla griffe è solo l’anticipazione di quello che sarebbe stato un processo naturale inevitabile: “Il 20% dei negozi Louis Vuitton in Cina sarebbe comunque scomparso entro la metà del 2016”, ha affermato Emmanuel Hemmerle, managing partner dell’omonima società di consulenza di Shanghai.

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