Il processo a “Mafia Capitale” è iniziato. Senza grande clamore, a ben vedere. Vedremo comunque se sarà in grado di rispondere alla grande domanda: “Fu vera mafia?”. Salvatore Merlo sul Foglio (29 ottobre) ha cercato di rispondere al quesito con un’inchiesta magistrale sul collasso economico, politico e morale di Roma, sulle sue radici, sui suoi protagonisti. Dopo averla letta, ho concluso che la situazione è grave ma non è seria, come direbbe Ennio Flaiano. È vero: sta cambiando la geografia del potere e ci sono meno soldi da distribuire a clientele e corporazioni. Ma l’anima della città, pur tra tumultuose trasformazioni, in fondo non è cambiata molto. Rimane cioè – oggi come ieri – senza “grandi peccatori”. Infatti mancano, come scriveva proprio Flaiano già nel 1960, “i falsi messia, i poeti inediti (tutti stampano qualcosa), i cupi visionari, gli affaristi pazzi, i pittori della domenica, i filosofi ambulanti: non avrebbero un pubblico”. Insieme al denaro, egli aggiungeva, la sola grande attrazione resta il sesso. Ma “questa inclinazione del romano verso la Donna non prende mai l’aspetto del rovinoso vizio e della passione. Il Sesso è un conforto, anch’esso vagamente parafamiliare. L’estate scorsa è venuta a Roma Lily Niagara a fare spettacoli di spogliarello. Dopo quattro giorni, nel locale dove lavorava, si entrava con la riduzione dell’Enal” (“La solitudine del satiro”, Adelphi, 2013). In altre parole: il vizio a Roma è sempre stato razionale e utilitario, un fatto esteriore, un costume, una moda. Sta qui anche il carattere profondamente meschino della corruzione che ha infettato la sua società politica e la sua società civile. Ci vuole solo la fervida immaginazione di qualche infoiato giornalista per trovarla spietata, ardita e violenta come quello delle multinazionali mafiose.
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Pur non essendo un credente, non sono insensibile alle ragioni della fede nella modernità. Come ha detto Benedetto XVI, la vita storica della Chiesa è insieme “fusca” (nera) e “decora” (bella), racchiude in sé tanto il peccato che la grazia. Papa Francesco sta conducendo una battaglia straordinaria contro la Chiesa “fusca”, chi può negarlo? Però, a mio avviso c’è un però. Per esprimerlo ancora una volta mi servo di una battuta di Ennio Flaiano (chiedo venia, ma è uno degli scrittori che più ha influito sulla mia formazione giovanile). Diceva il grande abruzzese che chi vive nel nostro tempo raramente sfugge alle nevrosi (lo diceva cinquant’anni fa, figuriamoci adesso). Per vivere bene – chiosava con superba ironia – “non bisogna essere eccessivamente contemporanei”. Ecco, ho l’impressione che la nobile ansia di essere “totus aetatis nostrae” (totalmente contemporaneo) rischi talvolta di prendere un po’ troppo la mano al pontefice, sul piano della comunicazione come su quello pastorale e dottrinario. Il Sinodo dei vescovi sulla famiglia ne è stata una plastica testimonianza. E, quando un organismo pur robusto come il Soglio di Pietro si espone a una permanente “crisi di nervi”, le sue difese immunitarie contro il relativismo etico, tratto distintivo della secolarizzazione del terzo millennio, possono indebolirsi.