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Le strane idee di D’Alema su Isis

“Alla coalizione anti-Isis serve più coordinamento. Una cabina di regia vera che potrebbe evitare episodi come quello dello sconfinamento dell’aereo russo in Turchia” (intervista del ministro della Difesa Roberta Pinotti al Sole 24 Ore). Il contributo del governo italiano sul piano militare non sarà un granché, ma su quello delle idee non è secondo a nessuno.

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Consiglio di leggere un volumetto di Massimo Campanini, “I sunniti” (il Mulino), che spiega con chiarezza come il Corano possa legittimare sia una religione pacifista che una religione bellicosa. Tuttavia, forse il problema su cui non abbiamo ancora riflettuto a sufficienza è che, mentre noi raccontiamo a noi stessi che dobbiamo “liberare” l’Islam, il musulmano percepisce questa liberazione come un’aggressione e distruzione culturale. Qualche giorno fa, al talk show di Lilli Gruber 8 e 1/2 ho ascoltato Massimo D’Alema argomentare che la guerra vera (armata) è interna, è contro gli Stati islamici moderati e non contro l’Occidente. È in buona misura vero, ma solo nel senso che se ” il fondamentalismo non conquista prima gli Stati islamici non ha la forza per abbattere quell’Occidente che pur sempre resta l’obiettivo finale, il “grande Satana” da distruggere” (Giovanni Sartori, “La democrazia in trenta lezioni”, Mondadori, 2008).

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Negli “anni di piombo”, la Cgil di Luciano Lama fu alla testa della lotta contro il terrorismo delle Brigate rosse e dei gruppuscoli neofascisti. Oggi la Cgil di Susanna Camusso balbetta sulla lotta contro il terrorismo islamista. Non un’iniziativa di massa, non una manifestazione significativa sul piano nazionale (quella della Fiom a Roma era già stata decisa per obiettivi sindacali), non un’ora di sciopero, non un’assemblea nei luoghi di lavoro dopo i fatti di Parigi. Solo qualche stanco slogan sulle colpe di Usa ed Europa e qualche insulso anatema contro chi parla di conflitto di civiltà. In verità, a me sfugge quale delitto esso commetta. Due civiltà possono coesistere non solo pacificamente, ma anche ignorandosi tra loro. Ma se non si ignorano e se si contrappongono e si contrastano, allora il termine conflitto è appropriato. Perché conflitto non è guerra, almeno finché non diventa armato. In ogni caso, quando quella che resta la più grande organizzazione di massa del nostro Paese si preoccupa, in un momento in cui il mondo è una polveriera, solo di promuovere una raffica di referendum contro il Jobs Act e non si preoccupa, invece, anche di mobilitare i lavoratori contro il fondamentalismo sunnita, delle due l’una: o si è definitivamente trasformata in una tradizionale associazione d’interessi, con buona pace di Giuseppe Di Vittorio; o ha una leadership culturalmente inadeguata, con buona pace di Bruno Trentin. Tra le migliaia di dirigenti e funzionari della confederazione di Corso d’Italia, ancora non se ne è accorto nessuno?


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