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L’Isis e il colore dei nostri occhi

Sono passati quasi tre giorni dalla mattanza di Parigi. Per ore me ne sono stato a riflettere pieno di angoscia perché ho pensato che l’Isis fosse riuscita nel suo intento, togliere cioè i colori della vita e della speranza, della felicità e della spensieratezza dagli occhi di noi europei.

Come? Colpire una splendida partita, un affascinante concerto rock e ristoranti affollati. Abbiamo purtroppo avuto già modo di dire in precedenti articoli quello che vediamo ora scrivere in molti e che sommariamente vogliamo di nuovo ricapitolare.

Lo scontro con l’Isis può essere vinto a tre condizioni.

La prima di tipo diplomatico, serve una coalizione decisa e univoca negli obiettivi dalla Nato agli Stati Uniti, dalla Russia alla Giordania agli Emirati Arabi, passando anche all’indispensabile ma chiaro apporto che dovrà dare la Turchia.

La seconda di tipo militare, va combattuto con truppe di terra nel teatro delle operazioni belliche vere e proprie. Non si può pensare che i peshmerga curdi possano da soli contrastare gli ottantamila uomini che tutti i servizi ritengono sia l’attuale forza militare del califfato.

La terza di tipo strategico. Occorre varare un piano Marshall di aiuti alla Tunisia, Libia ed Algeria che consenta a questi Stati di ridurre al minimo la sacche di disperazione, disoccupazione e crescente criminalità che sono riserva di caccia ideale per i reclutatori del fanatismo terroristico.

L’Europa va da sé deve rilanciare un Piano credibile per le grandi migrazioni dettate dalla povertà, dalle schiavitù di ogni tipo, ma anche da sapienti infiltrazioni camuffate.

Bisogna renderci conto che i duecentoquaranta civili morti nell’aereo russo sul Sinai sono fratelli nel dolore degli amici francesi.

Se l’Europa non volgerà altrove lo sguardo in una sorta di suicidio collettivo (della serie purché non sia nel mio cortile), può ancora farcela.

 

 



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