Già triste di suo per i drammi che si consumano attorno a lui, appena accorso giustamente a rappresentare tutti gli italiani agli struggenti funerali veneziani della povera Valeria Solesin, uccisa a Parigi anche lei dai terroristi islamici, rischiano di aumentare le amarezze giudiziarie del presidente della Repubblica Sergio Mattarella nella sua amatissima Palermo. Dove già il mese scorso il giudice Enrico Catanzaro gli aveva riservato la sgradita sorpresa di una proposta conciliativa considerata troppo favorevole alle controparti nella causa civile promossa anni fa dal non ancora capo dello Stato e dai figli del compianto fratello Piersanti contro l’autore e la casa editrice di un libro ritenuto diffamatorio per la memoria del padre, Bernardo. Che fu un esponente assai autorevole della Dc siciliana, e ministro di Aldo Moro.
Il libro, pubblicato da Longanesi nel 2000 e scritto dal giornalista Alfio Caruso, arruolato da Indro Montanelli alla nascita del Giornale, nel 1974, ha un titolo di per sé già comprensibilmente sgradito alla famiglia Mattarella per le maiuscole allusive: “Da Cosa nasce Cosa”. Cosa, si presume, quale Cosa Nostra.
Come a molti altri politici siciliani, e non solo politici, accadde anche al padre di Sergio Mattarella di essere colpito da voci o insinuazioni per frequentazioni di ambienti e persone in odore, diciamo così, di mafia. Con i cui esponenti ancora oggi può capitare da quelle parti di trovarsi a convivere, magari inconsapevolmente.
Bernardo Mattarella soleva reagire a quelle voci sprezzantemente, alzando le spalle. Ricordo che una volta, incalzato nel cortile di Palazzo Chigi da una giornalista straniera che gli chiedeva spiegazioni sul fatto che il suo nome fosse chiacchierato, la mandò a quel paese con un epiteto sconosciuto al modesto bagaglio linguistico italiano della collega. Alla quale nessuno di noi, presenti alla scenetta, ebbe il coraggio di tradurglielo: neppure il capo ufficio stampa del ministro, che era Enrico Benso, mio carissimo amico.
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Com’era largamente prevedibile, nell’udienza del 23 novembre la difesa della famiglia Mattarella ha rifiutato la proposta conciliativa del giudice Catanzaro, accettata invece dalle controparti. Essa escludeva il ritiro del libro dalla circolazione e il pagamento dei 250 mila euro di danni reclamati dai promotori dell’azione. Concedeva invece la diffusione, nel sito telematico della casa editrice, di un richiamo a condanne subite dallo scrittore Danilo Dolci per cose scritte contro Bernardo Mattarella, anche se Caruso non vi ha mai fatto ricorso nel suo volume, tanto meno citandolo nella bibliografia, come invece ritenuto erroneamente dalla controparte.
Nella previsione di una prosecuzione della causa per effetto, appunto, di un rifiuto della proposta conciliativa del giudice da parte di Sergio Mattarella e nipoti, la difesa di Caruso ha chiesto la testimonianza di Francesco Di Carlo. Che è un pentito di mafia, collaboratore di giustizia dal 1996, risultato attendibile in altri procedimenti. E soprattutto autore di un’intervista del 12 ottobre scorso a Rita Di Giovacchino, del Fatto Quotidiano, appresa da Caruso dopo la formulazione della proposta conciliativa, ugualmente accettata tuttavia dall’autore del libro.
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Sulla base delle rivelazioni attribuite al pentito Di Carlo la difesa di Caruso vorrebbe che il giudice accertasse, appunto con una deposizione testimoniale dell’interessato, se davvero egli avesse a suo tempo saputo dal capomafia della provincia di Trapani di un’avvenuta affiliazione di Bernardo Mattarella alla cosca di Castellammare del Golfo. Dalla quale poi il futuro ministro si sarebbe ritirato per dissenso da un’operazione di malavita venuta a sua conoscenza.
Dal pentito Di Carlo la difesa di Caruso si attende inoltre la conferma della sua personale conoscenza e persino frequentazione di Bernardo Mattarella come uomo d’onore, insieme con l’onorevole Calogero Volpe.
Infine, sempre da Di Carlo la difesa di Caruso si attende la conferma di un disperato e inutile tentativo compiuto presso la mafia, e già raccontato da lui anche ad altri, per scongiurare l’atroce fine del presidente della regione Sicilia Piersanti Mattarella, il figlio maggiore di Bernardo, ucciso il 6 gennaio 1980 perché deciso a non lasciarsi intimidire e condizionare nell’esercizio delle sue funzioni.
Fu proprio da quell’atroce assassinio che nacque la decisione di Sergio Mattarella di raccogliere il testimone politico del fratello, con un impegno che gli ha fatto scalare le istituzioni sino al Quirinale.
Per l’attuale capo dello Stato si può davvero dire che da cosa nacque cosa, questa volta rigorosamente al minuscolo, perché non possano esserci equivoci. Ne converrà anche Caruso.
Francesco Damato