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Parigi, di cosa si parlerà alla Conferenza sul clima

Siamo la generazione del clima, quella che cambierà questo pianeta. In meglio o peggio non è ancora chiaro, ma la cosa certa è che dopo di noi nulla sarà più come prima. Nel 2014 le concentrazioni atmosferiche di CO2 – il principale gas a effetto serra – hanno raggiunto le 397,7 parti per milione (ppm), come ha precisato l’Organizzazione mete­orologica mondiale qualche giorno fa, e in alcuni momenti dell’anno hanno superato la soglia delle 400 ppm, limite tristemente noto per essere stato da tempo indicato come il punto di non ritorno oltre il quale il pianeta perde la sua capacità di rigenerarsi. Nell’aria si aggira dunque un nemico invisibile e pernicioso, letale come l’antrace o l’ebola, ma al quale i ricercatori non possono contrapporre un vaccino se non quello del buon senso. Buon senso che sembra invece mancare del tutto, se pensiamo ai tanti investitori che giustificano le loro malefatte ambientali ricordando al mondo quanta ricchezza e quanto benessere sono riusciti a produrre per sé e per gli altri. L’anidride carbonica è un nemico silenzioso, si accumula nella nostra atmosfera e ci soffoca giorno dopo giorno. Ogni volta che ci spo­stiamo, come ogni giorno di lavoro-produzione e ogni scelta alimentare che facciamo incide, così come ogni impresa che produce, ogni politica economica, sociale o ambientale, nazionale o internazionale.

Dopo Cop21, i compiti da fare a casa saranno molto complicati: ogni governo dovrà cambiare le proprie politiche e ogni cittadino dovrà modificare il proprio stile di vita. Ma la cosa più difficile è che tutti dovremo andare verso un obiettivo comune. Insomma la grande sfida di contrasto ai cambiamenti climatici è una sfida di portata globale a cui non siamo abituati e la storia è costellata di strette di mano e promesse non mantenute. Ma questa volta è in gioco la sopravvivenza di tutti i nostri figli, ovunque siano nati, qualunque sia il luogo in cui vivono e soprattutto la loro condizione sociale ed economica. Papa Francesco, infatti, ci ha rammentato che il clima è un bene comune che lega le sorti di ogni Paese del mondo con quella di ogni altro, anche quello culturalmente e geograficamente più lontano. Ci siamo soffermati a riflettere su quali ingredienti in comune dovranno avere le ricette che ogni Paese sarà chiamato a mettere in pentola per ridurre le sue emissioni e salvare il pianeta, secondo il proprio stile e la propria cultura. Sono emerse quattro spezie molto preziose: sobrietà, responsabilità, coerenza e coraggio. È necessario consumare meno e produrre meglio. Se le emissioni proseguiranno al ritmo attuale, nel 2030 per soddisfare il fabbisogno dell’umanità serviranno due Terre. È inutile illudersi che il nostro stile di vita potrà rimanere uguale. Lo sviluppo sostenibile è una realtà possibile, ma deve tener conto dei limiti del pianeta e lo sviluppo attuale li supera fortemente. Qui le indicazioni pratiche, anche per i singoli cittadini, sono tantissime: usufruire meno di acqua ed energia; non sprecare il cibo; evitare auto e aerei; in una parola consumare meno.

Nell’era della sobrietà, il sistema economico dovrà imparare a valorizzare la qualità piuttosto che la quantità. È necessario altresì che ognuno di noi si riconcilii con tutti i ruoli sociali che ricopre: cittadino, lavoratore, azionista, elettore. Non è possibile essere un buon padre in Italia e lasciare che si alimentino guerre e povertà per l’accaparramento delle risorse naturali necessarie a costruire i chip dei nostri computer, del petrolio per le nostre auto, della carta dei nostri libri. Non è possibile essere un buon imprenditore o un buon lavoratore se la fabbrica che guidiamo o per cui lavoriamo inquina i nostri vicini. Non è possibile investire i propri risparmi senza più preoccuparsi di come sia impiegato quel denaro. Nessun uomo è perfetto e nessuna ricetta lo sarà mai. Questo ci costringe a mantenere alta la guardia e imparare dai nostri errori. Quando si invoca solo l’innovazione tecnologica come soluzione ai cambiamenti climatici si sbaglia: la tecnologia dà un grande potere all’uomo, che spesso mostra di non aver ben riflettuto sulle sue applicazioni. Se si pugnala mortalmente il pianeta, la colpa non sarà mai del coltello, ma di chi lo impugna. Occorre che tutti riflettano maggiormente, soprattutto economisti e scienziati che sono oggi chiamati a essere più filosofi e meno tecnocrati. Il momento è grave, ma la speranza in un futuro migliore deve tornare ad albergare nei nostri cuori. Occorre un cambiamento forte e deciso. Il coraggio di cambiare riguarda tutti noi, anche se maggiore coraggio occorrerà ai politici che dovranno cominciare a dire dei no e a mettere al bando le fonti fossili, sia pure attraverso strategie di transizione graduali e creative.

Per chiudere, richiamiamo le parole di Papa Francesco, che più di ogni altro ha saputo dare senso alla sfida vitale che abbiamo davanti: “Se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea”(Enciclica Laudato si’).



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