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Ecco come Anonymous fa la guerra a Isis

Un punto cruciale nella strategia del terrore consiste nell’alimentare la sindrome della paura nella gente, considerando l’opinione pubblica una debolezza della democrazia. Al contrario, la risposta dell’opinione pubblica, specialmente quella sulla Rete, si sta dimostrando un punto di forza delle democrazie, ed in questo contesto spicca la risposta del collettivo di hacker di Anonymous schierati conto i terroristi dell’Isis.

GUERRA INVISIBILE

In questi giorni si sta svolgendo una vera e propria guerra invisibile, di cui i media parlano poco). Il campo di battaglia è incredibilmente vasto, più esteso di qualsiasi nazione, perché è il cyberspazio, in particolar modo i canali utilizzati dai terroristi per la loro propaganda. L’esercito che li combatte è quello estremamente eterogeneo degli hacker di Anonymous: siano essi hacker con decine di anni di esperienza oppure giovani alle loro prime esperienze di hacking.

LA SELEZIONE DEI TARGET

Si comincia creando gli elenchi con i bersagli, si segnalano gli account jihadisti utilizzati dai terroristi per diffonde i loro deliranti messaggi, altri operatori si occupano di verificarne l’attendibilità. Poi partono gli attacchi (ad esempio di tipo DDos) per abbattere i siti oppure le procedure per silenziare gli account. Si lavora a ciclo continuo, in base alle proprie disponibilità di tempo (e di connessione): alcuni lo fanno persino di nascosto mentre sono al lavoro.

I SOCIAL PRESI DI MIRA

I terroristi usano i social per diffondere i loro messaggi e quindi inevitabilmente si agisce soprattutto contro i profili Twitter (i più utilizzati) ma anche su molte altre piattaforme usate per diffondere i comunicati: Tumblr, Google+, Instagram, Youtube, Ask.Fm, Pastebin, Justpaste, Archive.org. L’obiettivo è simile a quello delle precedente campagne: “Vogliamo stanare i jihadisti, identificarli, consegnare le loro identità all’opinione pubblica perché vengano fermati prima che possano commettere altri massacri”, commenta via chat uno dei fondatore di OpParis, “Allo stesso tempo ne oscuriamo la visibilità online una volta tratte le informazioni necessarie”.

GLI HASHTAG SU TWITTER

Gli hashtag su Twitter usati dall’esercito di Anonymous contro i terroristi sono #opParis, #OpIsis, #OpIceIsis. Migliaia gli account attaccati su Twitter dagli hacker di Anonymous e l’esercito informatico dei terroristi comincia ad accusare il colpo, la macchina di comunicazione jihadista vacilla ed è costretta a spostarsi su altre piattaforme meno conosciute, nel frattempo gli hacker di Anonymous già si organizzano per attaccare i prossimi bersagli.

UN ESERCITO SENZA LEADER

Questa lotta al Califfato non ha leader, parte dal basso, non è coordinata da nessun governo e da nessuna intelligence, non è di tipo militare e non conosce frontiere: gli hacker sono in tutto il mondo, in ogni continente, ogni nazione, ed anche l’Italia fa la sua parte.

DAI PROFESSIONISTI AI MENO ESPERTI

Non è necessario essere degli hacker professionisti per contribuire all’offensiva, anche chi ha solo un discreto livello di conoscenza informatica la mette a disposizione e contribuisce a dire no alla cyber propaganda del Califfato. La procedura è la seguente: gli utenti si collegano alla chat pubblica di Anonymous, e segnalano account Twitter di presunti jihadisti o sostenitori. In queste chat gli operatori postano spesso messaggi di questo tipo: “Per aiutarci a smascherare i terroristi ci serve il vostro aiuto cercando profili Twitter, Facebook, Google+, siti web jihadisti che inneggiano alla morte (non confondetevi con islamici innocenti), segnalate i profili mettendo il collegamento su questo pad…”).

UN ESERCITO CON I SUOI BOT

Alcuni compiti sono automatizzati attraverso programmi appositi, script, e bot che agevolano ad esempio la procedura di segnalazione di un profilo. Le segnalazioni di profili sospetti provengono dagli utenti e dai partecipanti all’operazione, sono raccolte sui vari fogli online e controllate manualmente per una prima visione; poi sono aggiunte alla lista dei target da inserire nei software di attacco. La prima scrematura dei profili viene anche automatizzata attraverso dei programmi che analizzano i tweet sulla base di parole chiave, soprattutto hashtag. Non sono velocissimi, ma questi programmi hanno il vantaggio di operare in background mentre l’utente è impegnato a fare altro. “Un altro modo anche banale per individuare profili sospetti è fare una ricerca per immagini”, commenta un anon, “Molti usano proprio la bandiera del Califfato”.

IL VIDEO SUBITO VIRALE

In un filmato (diffuso in più lingue: francese, inglese, italiano) vengono chiamati in causa direttamente gli attentatori: “Siamo sulle tracce degli appartenenti ai gruppi terroristici responsabili degli attacchi, non ci fermeremo, non dimenticheremo, e faremo tutto il necessario per porre fine alle loro azioni”, afferma Anonymous. Gli hacker hanno creato un canale ufficiale @opparisofficial e tutti sono invitati a segnalare gli account del Califfato. Un lavoro dal basso, portato avanti per cercare di porre un freno alla ferocia e alla barbarie del terrorismo che sempre di più trova nuovi adepti attraverso i social network.

I GRUPPI ORGANIZZATI

Diversi in realtà sono i gruppi di cyber attivisti mobilitati in modo vario e da tempo nell’offensiva cyber contro il Califfato e i suoi simpatizzanti. Ci sono anche gruppi più ristretti e mirati che perseguono comunque obiettivi simili, come Ghost.org la cui missione sembra essere proprio quella di eliminare dalla Rete siti jihadisti. Ci sono anche team che si muovono ormai in modo professionale e che raccolgono probabilmente anche ex militari come GhostSecGroup oppure ancora gruppi come Binarysec. Per citarne solo alcuni, dato che si tratta di un arcipelago particolarmente frastagliato e mobile.

I GOVERNI INTERESSATI

Un recente resoconto di Foreign Policy sulla campagna di Anonymous contro i terroristi jihadisti svoltasi nell’ultimo anno mostra che è forte l’interesse delle autorità e dei governi nei confronti delle operazioni anti Califfato degli hacktivisti. Tuttavia la questione non è così semplice, per molti anons la collaborazione diretta con agenzie governative è fuori discussione, anche in virtù degli attriti, tra il movimento di cyber attivisti e i governi occidentali, quando le loro campagne si sono indirizzate a tematiche ambientaliste o anti governative.

LA COMUNICAZIONE TRA GLI HACKER

Si comunica attraverso canali di chat che, con opportuni accorgimenti, possono diventare anonimi, cifrati e praticamente invisibili. Meglio non svelare la propria identità, perché le operazioni portate avanti dall’esercito di Anonymous sono considerate un reato nella maggior parte delle nazioni in cui vengono effettuate. La voglia di sconfiggere i miliziani del terrore è però più forte della paura di compiere reati informatici e gli hacker di Anonymous proseguono la loro guerra invisibile, all’ombra dei riflettori dei puntati su big che si riuniscono per decidere.

GLI HACKER DEL CALIFFATO

La guerra informatica è solo all’inizio, e i terroristi jihadisti sono pronti a rispondere. Nbc News riporta che il Califfato ha una sorta di “help desk per terroristi”, attivo 24 ore su 24, che aiuta i suoi adepti a diffondere il suo messaggio di terrore in tutto il mondo, reclutare nuove persone e lanciare nuovi attacchi su suolo straniero. L’help desk, composto da alcune persone con buone competenze tecniche, aiuta gli aspiranti jihadisti a usare la crittografia e altre comunicazioni sicure al fine di non essere rintracciati dall’intelligence dei vari Paesi. Di fronte alle varie offensive di Anonymous, i militanti jihadisti non sono rimasti a guardare. Tra le misure di difesa adottate ci sono liste per bloccare in massa gli account associati ad Anonymous, ma anche istruzioni che girano su vari fogli online per camuffare la propria presenza sui social. Un foglio pubblicato proprio di recente su Justpaste riporta varie istruzioni al riguardo. In questo ore, ad esempio, hacker vicini ad Isis stanno attaccando (senza successo) i canali di comunicazione di Anonymous nella speranza di renderli irraggiungibili.

LA RISPOSTA DEGLI HACKER

Sarà interessante vedere come il fronte online di hacker del Califfato reagirà a queste operazioni: dopo la campagna di Anonymous successiva a Charlie Hebdo, era nata una controffensiva in cui alcuni militanti prendevano di mira i siti francesi hackerandoli in massa (in genere colpendo target molto semplici). Verificare se si ripeterà anche questa volta potrebbe essere una cartina di tornasole sullo stato di salute della propaganda jihadista.

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