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Voluntary disclosure, perché si potevano incassare più soldi

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Grazie all’autorizzzione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Marino Longoni apparso su Italia Oggi il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

La voluntary disclosure, cioè l’operazione di regolarizzazione dei capitali detenuti all’estero ma non dichiarati in Italia, è stata gestita dal governo nel peggior modo possibile. Ritardi inconcepibili nel completamento della disciplina normativa, mancanza di chiarezza nell’interpretazione delle norme, buchi normativi, proroghe concesse all’ultimo minuto, complessità intollerabile nelle operazioni di calcolo, incertezze sulle conseguenze dell’adesione. Nonostante ciò, l’erario ha già incassato quasi 2 miliardi e conta di incassarne altri 3 che ha già messo a bilancio per il 2016.

Evidentemente, molti contribuenti si sono resi conto che i rischi della mancata regolarizzazione sono peggiori di quelli connessi alla riemersione. Ciò non toglie che si sarebbe potuto rimettere in circolo, e l’erario avrebbe potuto incassare, molto di più se l’operazione fosse stata congegnata in modo più razionale, se le conseguenze della regolarizzazione fossero più prevedibili, se ci fosse stato più tempo per la gestione di pratiche spesso molto complesse.

Non c’è dubbio che gli importanti risultati in termini di emersione che la voluntary potrà raggiungere sono poca cosa rispetto a quelli che si sarebbero potuti raggiungere con qualche piccola modifica come l’eliminazione delle conseguenze penali per i reati societari, il riconoscimento dei crediti d’imposta per le imposte già assolte all’estero, la compensazione per le minusvalenze e le perdite pregresse e infine una maggior tolleranza sui prelievi effettuati all’estero da soggetti non imprenditori. L’atteggiamento ondivago del legislatore ha invece ricordato a molti contribuenti l’inaffidabilità dimostrata con operazioni analoghe fatte negli anni precedenti (basti pensare all’incredibile serie di promesse poi smentite seguite alle varie edizioni dello scudo fiscale).

Ormai i giochi sono fatti, modifiche sostanziali all’ultimo minuto sono improbabili, anche per non creare sperequazioni tra chi la domanda l’ha già presentata e chi invece (e sono i più), la deve ancora presentare. Chissà se qualcuno, nel governo, stia ragionando su una nuova forma di voluntary, permanente o a scadenza, che, dal 1° gennaio 2017 faccia tesoro degli errori fin qui commessi.

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