Leggendo la lettera che la Commissione ha inviato al governo italiano sulla soluzione da dare alla crisi della 4 banche, resa pubblica dopo le polemiche intercorse tra le due istituzioni, il mio sconforto si è accresciuto ancora più di quanto già non fosse elevato a seguito delle decisioni prese di penalizzare in modo irriflessivo un pugno di risparmiatori in obbligazioni subordinate, senza esplorare la possibilità di una diversa soluzione che la lettera non escludeva.
E’ pur vero che la posizione espressa dalla Commissione era in stile Sibilla Cumana, lasciando al governo italiano la possibilità di porre la virgola nel punto giusto della celebre risposta “ibis redibis non” contenuta nella lettera, sollevando un quesito del perché è stata presa, si spera in buona fede ma i dubbi restano, la decisione più traumatica, seguita da una macchinoso meccanismo – è il caso di dire una cantonata – per tamponare l’errore compiuto. Il giudizio espresso sull’intervento Tercas viene ora usato impropriamente per ratificare ciò che è stato fatto per le quattro banche.
La lettera della Commissione, tuttavia, non è criticabile perché si esprime in modo sibillino, ma perché conferma, ripetendolo più volte, che la direttiva in questione non si prefigge di proteggere i risparmiatori – vil razza dannata, ignorante, che merita d’essere punita, così impara – ma i bilanci pubblici; così facendo, secondo loro, tutelano gli interessi della collettività. Quando gli interessi della collettività sovrastano quelli dell’individuo siamo nel socialismo rivoluzionario, neanche in quello socialdemocratico, e mi stupisco che il Commissario Lord Hill possa aver messo la sua firma sotto quella lettera.
Per proteggere il risparmiatore non occorre mandarlo a lezione di finanza, come oggi si afferma, ma mandare a lezione di comunicazione o di onestà (materia difficile da insegnare) chi ha il dovere di dargli le informazioni; una firma messa sotto moduli scritti in corpo otto, illeggibili, non esonera i responsabili dalle loro malefatte, siano esse le autorità di vigilanza e controllo o la dirigenza delle banche.
La disputa se le banche devono essere salvate o meno dura da molto tempo; l’Italia le ha sempre salvate e Guido Carli non aveva dubbi, ricevendo acerbe critiche all’interno e all’estero per questa sua giusta visione del problema. Le banche non possono fallire, devono essere solo vigilate bene e, quando accadono i fattacci, che possono sempre accadere, le crisi vanno risolte penalizzando i soli azionisti puri se sono responsabili, ma trovando una soluzione che non incida la fiducia nel sistema del credito e del risparmio, bene pubblico supremo.
Ciò è stato sempre fatto inducendo a collaborare autorità, banche e privati, chiedendo a ciascuno di mettere qualcosa a fronte delle rispettive responsabilità. Oggi invece, con la nuova direttiva, esistono i sempre buoni (le autorità) e i sempre cattivi (i risparmiatori incolti). Il Fondo tutela depositi italiano è una forma di assicurazione mutualistica tra banche per affrontare questi casi; se i soldi richiesti mettono in crisi la loro stabilità, deve intervenire lo Stato, come è sempre avvenuto in passato, perché le banche non possono coprire le crisi sistemiche causate dalle autorità, come senza ombra di dubbio è quella che stiamo vivendo.
I ritardi decisionali europei e gli errori di politica economica hanno creato la crisi produttiva e occupazionale che ha messo in difficoltà le banche; far pagare il costo agli obbligazionisti subordinati grida vendetta. Se ci fosse Einaudi userebbe la sua classica invettiva: “scritteriati”; se fosse in vita La Malfa aggiungerebbe: “miserabbili”.
Quale sia la filosofia di Bruxelles lo ha spiegato bene Lars Feld, Consigliere economico della Cancelliera Merkel, nell’intervista data a Federico Fubini. Leggendo la storia di parte della trattativa con la Germania dopo la prima guerra mondiale scritta da Keynes in un suo memorabile pamphlet (che Luigi Zanda ha inviato in omaggio agli amici per le festività di fine anno) ho incontrato il seguente giudizio: “Non sempre fummo leali nei loro confronti, ma essi, da bravi tedeschi erano incapaci di distinguere la buona dalla mala fede”.
E’ pur vero che offriamo occasioni per alimentare questa incapacità dei tedeschi, ma essa si è diffusa come un virus nel corpo della Commissione, compresa la componente inglese che avrebbe il dovere di cogliere l’eredità di Keynes di saper distinguere i fatti. Feld ammette che la Germania ha assistito le banche, ma dice che esse erano pubbliche, ossia non poteva esserci aiuto di Stato perché restava nell’ambito dello Stato, che tutelava le sue proprietà; che la Germania e altri Paesi lo hanno fatto a tempo debito, mentre l’Italia non ha capito in che situazione stavano le sue banche e ora è troppo tardi per farlo; che non si sognano di avere il fondo tutela depositi europeo, nonostante facesse parte integrante dello stesso pacchetto della direttiva (hanno cioè truffato e l’Italia non si è cautelata); che la situazione è tale per cui nel prevedibile futuro non pagheranno solo gli obbligazionisti subordinati, ma anche, se necessario, gli obbligazionisti ordinari e i depositanti con più di 100 mila euro.
Per fortuna che gli italiani sono ignoranti in materia di finanza perché, se nessuno ricaccia in gola al Signor Feld la sua diagnosi e l’avalla, come fatto dal Parlamento, dal governo e dalla Banca d’Italia approvando la direttiva che scatta dal 1° gennaio 2016, la crisi sarebbe già in atto senza disporre di una rete di salvataggio. Si può ben dire, santa ignoranza!
Testo pubblicato sul sito di Mf/Milano Finanza
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