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Perché Draghi non è stato troppo timido

Due sono in questo momento le preoccupazioni di Mario Draghi, ormai sempre di più uomo solo al comando dell’Eurotower: consolidare le basi della ripresa, peraltro ben tenue, dell’Eurozona, ed evitare che si ricada nuovamente nella spirale dell’inflazione in calo (appena 0,1% in novembre) o addirittura dalla deflazione.

LE DECISIONI

Con il tasso di sconto già a 0,05%, sono due gli strumenti non convenzionali attivati per realizzare questi obiettivi: allungamento del quantitative easing fino a marzo 2017 e una quasi-imposta sui depositi overnight delle banche (per indurle a impiegare altrove la propria liquidità). C’è poi il tasso di cambio, di cui formalmente la Bce non si cura ma che evidentemente vuole indebolire per favorire l’export e rendere un po’ più caro l’import.

DRAGHI TIMIDO?

Anche se non ha aumentato gli acquisiti programmati di attivi sul mercato, non si può dire che Draghi sia timido. È vero che in Eurozona il quantitative easing è iniziato dopo ed ha avuto dimensioni più ridotte che negli Stati Uniti. Ma l’impatto sui flussi finanziari è stato massiccio, come mostrano le stime di Deutsche Bank: combinato alla modestia delle ripresa, la sua politica monetaria ha indotto gli investitori internazionali a cedere €400 miliardi di obbligazioni in un anno, cioè una somma superiore all’eccedente delle partite correnti. Ormai la parità con il dollaro, che in altri tempi avrebbe fatto sobbalzare sulla sua sedia Jens Weidmann, è un miraggio a portata di mano.

EFFETTO BCE

Quali saranno gli effetti di queste scelte di Francoforte? In un’economia globale sempre più complessa e interconnessa, l’euro debole di fronte al dollaro non si traduce necessariamente in export più competitivo, perché anche le valute degli emergenti sono destinate a svalutarsi rispetto alla moneta americana (soprattutto se tra due settimane la Fed dovesse alzare i tassi, come è più che probabile) e perché parti e componenti che finiscono nel Made-in-Europe diventeranno più cari.

GLI SCENARI

In più il quantitative easing europeo è monco, perché la Bce ha ormai quasi esaurito la possibilità di comprare covered bonds e non può permettersi di rischiare su altri strumenti. E infine remunerazione negativa della deposit facility significa pesare sulla redditività delle banche. Non c’è insomma da stupirsi se i mercati hanno reagito con cautela, o forse anche con scetticismo, agli annunci odierni.

Andrea Goldstein, Managing Director di Nomisma


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