Il ministero dell’Economia ha appena pubblicato, in prima edizione, il “Rapporto sul Debito pubblico 2014”. “Dall’anno prossimo”, così scrive il ministro Pier Carlo Padoan nella prefazione, “verrà pubblicato regolarmente, con cadenza annuale, in primavera, con riferimento all’anno precedente. Si intende così migliorare la qualità e il livello di trasparenza della comunicazione di una funzione cruciale quale la gestione del debito pubblico”. L’occasione per procedere alla redazione del documento è stata originata dalle polemiche sul costo delle operazioni in derivati, sull’entità delle perdite subite e potenziali, nonché sulla stessa opportunità di dar corso a queste iniziative. Nella prefazione si sottolinea infatti che, nel campo dell’informazione, lo sforzo del ministero ha l’obiettivo di conseguire un equilibrio ottimale tra due obblighi in parziale conflitto: da un lato il dovere di trasparenza, dall’altro il dovere di tutelare informazioni relative a rapporti con terzi, come accade nella prassi internazionale. D’altra parte, “la gestione del ministero è peraltro passata regolarmente al vaglio della Corte dei Conti, mentre gli effetti finanziari della gestione sono resi pubblici nelle previsioni dei documenti programmatici, nel bilancio di previsione dello Stato e in tutti i dati di consuntivo”. Sono stati così forniti, in modo organico, tutti quei dati relativi alle operazioni in derivati che finora erano stati comunicati sporadicamente, solo a seguito di specifiche interrogazioni parlamentari.
Gran parte del rapporto illustra il trade off al cui interno devono essere effettuate le scelte di finanziamento del debito pubblico e quelle relative alla copertura dei rischi. Viene utilizzato un apposito programma informatico, Sape (Software di analisi del portafoglio di emissione), in cui si combinano nell’input la generazione di scenari, la politica di emissione e la definizione dei vincoli, per ottenere l’analisi del trade-off tra costo e rischio. Minimizzare il costo del debito non può essere infatti l’unico driver: occorre evitare che una struttura del debito, troppo a breve, imponga un livello elevato e continuo di roll-over, con il rischio di trovarsi a dover rifinanziare masse consistenti di debito in coincidenza con situazioni di forte turbolenza dei mercati.
Il documento è assai articolato, visto che parte dalla illustrazione della struttura della Direzione generale competente, precisando sia la ripartizione delle funzioni tra front, middle e back office, sia il ciclo di procedure con cui annualmente si definiscono gli obiettivi da perseguire, l’ammontare di titoli in scadenza e le date delle aste. Vengono illustrate le caratteristiche delle singole tipologie di titoli, i criteri di assegnazione e le caratteristiche del mercato primario e secondario. Ci sono poi una serie di chiarimenti sulle relazioni tra fabbisogno delle amministrazioni ed indebitamento, sui rapporti con la Banca d’Italia e sulla tenuta del conto di Tesoreria, che viene gestito tenendo conto dei profili temporali di incassi e pagamenti. È una sorta di Wikipedia, di fonte ufficiale.
Il capitolo IV, dedicato all’andamento nel 2014 del mercato del debito nel contesto dei mercati internazionali, è sicuramente quello più interessante: riconosce infatti che “le scelte di politica monetaria, convenzionali e non, delle banche centrali delle principali economie avanzate hanno rappresentato uno degli snodi più importanti nelle dinamiche macroeconomiche a livello globale e condizionato gli andamenti sui mercati obbligazionari mondiali”.
Non c’è pagina in cui non si richiamino gli effetti prodotti sul mercato dagli annunci della Bce, dalle sue decisioni e dalle attene di ulteriori interventi di accomodamento. Si va dalla ripetuta riduzione dei tassi di riferimento alla decisione di remunerare con un rendimento negativo (da zero a -0,10% e poi a -0,20%) i depositi eccedenti la riserva obbligatoria; dalle operazioni straordinarie per immettere liquidità con le T-Ltro, alle interferenze sul mercato dei titoli di Stato determinate dai processi di supervisione straordinaria attraverso il Comprehensive Assessment che hanno indotto le banche ad atteggiamenti di maggiore prudenza; dall’avvio di acquisti di covered bond ed asset backed securities al preannuncio del quantitative easing sui titoli pubblici.
La politica monetaria della Bce è stata determinante in termini di minor costo di finanziamento del debito italiano, che deriva sia dal calo complessivo dei tassi nell’Eurozona sia dalla riduzione degli spread sul Bund. Il mercato del debito pubblico è ormai funzione diretta della liquidità immessa dalla Banca centrale e delle decisioni dei regolatori bancari: basta modificare, anche di poco, una scadenza di rimborso oppure un criterio per la valutazione del rischio sui titoli del debito pubblico detenuti dalle banche per influire fortemente sul comportamento del mercato. È la politica monetaria a “fare” il mercato, nel bene e purtroppo anche nel male.
Ci sono stati in passato, da parte della Bce, errori imperdonabili, derivanti dal completo drenaggio di liquidità effettuato nei primi mesi del 2011, che ha avuto come conseguenza l’azzeramento dei depositi ulteriori rispetto alla riserva obbligatoria, e dal duplice aumento dei tassi di riferimento: tutti vendevano i titoli italiani per rientrare e rimborsare così la Bce. La Fed riflette, da mesi ancora pondera, valuta il pro ed il contro: la Bce guidata da Jean-Claude Trichet si mosse in modo inconsulto. Invece di celebrare la exit strategy, la tragedia per l’Italia cominciò allora.
Il rapporto ci consente di misurare il danno incalcolabile che abbiamo subito per via delle politiche monetarie restrittive della Bce e delle assurde correzioni di bilancio imposte dal Fiscal compact: nel 2008, il rapporto debito/pil era del 102,3%. Nel 2011, quando con una lettera congiunta della Bce e della Banca d’Italia ci vennero richieste misure draconiane, era ancora al 116,4%, con un incremento insignificante rispetto al 2010, anno in cui fu del 115,3%. Eravamo già in ripresa. Ed invece da allora, proprio negli anni di maggiore rigore e severità, abbiamo accumulato 15,9 punti di maggior debito. Le politiche monetarie sbagliate ed il risanamento del bilancio ci sono costate, inutilmente, molto più della crisi americana.