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Due considerazioni sui dati Istat e sul Jobsact

Leggendo diversi articoli di giornale questa mattina mi sono trovato davanti all’evidenza che “la realtà è una costruzione sociale”. In base a come si descrive un qualche cosa (approccio linguistico) si concorre alla costruzione della realtà stessa. Ciò che si dice diventa reale. Ma poi c’è un approccio empirico, che definisco sociologico, quello cioè che ha come primo obiettivo demistificare ciò che si legge, dice e si fa.

Ebbene, in base al giornale di appartenenza si leggono titoli che dipingono una realtà parziale, volutamente tale, perché funzionale a una retorica “a sostegno di“. Vorrei qui invece limitarmi a prendere i dati e discuterli. Al di là di ogni retorica pro o contro qualcuno o qualche cosa.

Partiamo con il tasso di occupazione. La curva ci dice che la tendenza generale è di un aumento leggero dell’occupazione. Un aumento, però, fortemente soggetto a sbalzi. I momenti di aumento dell’occupazione si sono registrati in tre periodi: novembre e dicembre 2014, marzo e aprile 2015 in modo consistente e con un incremento lievissimo dello 0,1 tra luglio e agosto 2015. Sono però ampi i periodi di calo dell’occupazione: da ottobre a novembre 2014, da dicembre a marzo 2015 con un calo lieve ma costante, da aprile a maggio 2015 e, trend che potrebbe metterci in allarme, da agosto ad ottobre 2015 si vede chiaramente che la curva va verso il basso: l’ISTAT stima 39.000 posti di lavoro persi.

Tasso d'occupazione. Ott-2014-2015, Istat 2015.
Tasso d’occupazione. Ott-2014-2015, Istat 2015.

Proseguiamo con il tasso di disoccupazione. La curva, malgrado quanto detto poco sopra sull’occupazione, diminuisce di oltre 1,4% nella serie storica considerata. Si tratta, secondo i dati Istat, di ben 410 mila persone che nell’ultimo anno hanno smesso di cercare lavoro. Quello che spesso non viene però spiegato è che smettere di cercare lavoro non significa automaticamente che se ne è trovato uno. Il problema maggiore, infatti, è l’effetto scoraggiamento: chi non cerca lavoro scivola nell’inattività. Questo fenomeno è subdolo e pericoloso perché indica la sfiducia totale verso il mercato del lavoro: politicamente, ma questa è una mia personalissima opinione, si tratta di un sconfitta.

Tasso di disoccupazione. Ott-2014-2015, Istat 2015.
Tasso di disoccupazione. Ott-2014-2015, Istat 2015.

Guardiamo allora al tasso di inattività. Si nota infatti un aumento di inattivi tra 15 e 64 anni (+66.000 nell’ultimo trimestre). Quindi è necessario non dimenticare di osservare contestualmente tutti e tre gli indici del mercato del lavoro prodotti dall’Istat perché la rappresentazione che se ne ricava è altrimenti parziale e strumentale.

Tasso di inattività. Ott-2014-2015, Istat 2015.
Tasso di inattività. Ott-2014-2015, Istat 2015.
Tassi di occupazione, inattività e disoccupazione a confronto, Istat 2015.
Tassi di occupazione, inattività e disoccupazione a confronto, Istat 2015.

La visione di insieme quindi ci dice che i problemi del mercato del lavoro italiani sono ben altro che risolti. Sarebbe interessante a tal proposito effettuare un’analisi davvero seria e svincolata dalle retoriche politiche del provvedimento che ha fatto tanto discutere: il Jobsact. Non sembra, ma potrei sbagliarmi, che abbia prodotto un miglioramento occupazionale (o agevolato, come mi è stato fatto notare da un lettore). Non certo come qualcuno poteva immaginare. Serve allora qualche cosa di diverso. Servono investimenti, serve un tessuto economico-produttivo moderno e capace di creare occupazione. Non è sufficiente, infatti, modificare le tipologie di contratto, se poi essere a tempo determinato non è più così diverso dall’essere a tempo indeterminato. Serve molto di più di un provvedimento legislativo per cambiare la realtà e non aiuta nessuno dipingere scenari che con la realtà hanno poco a che fare.

 

Approfondimenti:

http://www.istat.it/it/archivio/175137



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