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Finanza 2.0: quali orizzonti dopo la crisi?

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Siamo in una fase nuova e, per questo, di grande incertezza. La tempesta perfetta della crisi sta (forse) passando ma, nell’era degli orizzonti instabili, un solo trend è certo: è n atto lo scontro titanico tra 2 grandi “uragani”. L’espansione verso il macro, l’interdipendenza, l’hardware, le economie di scala, la globalizzazione, le multinazionali, la tecnologia, la finanza, le grandi banche, i debiti sovrani, la BCE, la FED. E, nel contempo, la spinta sempre più forte verso il software, l’intangibile, la smaterializzazione della produzione, il piccolo con pochi costi e tante idee, l’intelligenza al servizio del mercato. “Too big to fail” versus “Fast & genius”. Dobbiamo esserne consapevoli per progettare adeguatamente il futuro.

Sembra che il territorio globale sia stato attraversato da uno tsunami. Qualcuno ne ha paragonato i danni a quelli di una guerra mondiale. Ne siamo fuori, finalmente? Forse, ma la convalescenza sarà lunga, molto lunga. Anche perché stiamo cambiando pelle: il capitalismo, industriale e finanziario si sta evolvendo. Facciamoci qualche domanda. Con quali strumenti pensiamo che si siano sviluppati i Paesi emergenti del BRICS? Con quali prodotti pensiamo che si possano prendere i soldi del piccolo agricoltore del Midwest americano o della campagna romana ed investirli a Shangai o a Mumbai, magari minimizzando i rischi? Quali mercati finanziano i debiti sovrani come il nostro o quello americano, le nostre PMI e quelle giapponesi, le imprese in crescita brasiliane o indiane? E dove prendono i soldi le idee, i progetti, l’intelligenza diffusa delle start-up innovative, quelle della Silicon Valley o del Vietnam?

E’ l’era della finanza 2.0. Una trasformazione straordinaria dove, pur nell’incertezza che caratterizza le fasi di cambiamento, la lezione che dobbiamo apprendere deve essere chiara. Abbiamo varcato una nuova soglia: nell’era del capitalismo diffuso e dell’economia della reputazione, l’analfabetismo finanziario è la nuova forma di analfabetismo del terzo millennio. E’ un po’ quello che è successo a cavallo fra il XIX ed il XX secolo quando, durante il processo di progressiva industrializzazione che stava trasformando l’economia, il cambiamento dei mercati rendeva progressivamente più intollerabile l’analfabetismo. Per gli analfabeti era sempre più difficile essere competitivi perché, con l’esilio dai campi e l’urbanizzazione, un soggetto analfabeta aveva poco valore sul mercato come lavoratore. Gli stessi contadini si chiedevano: perché dobbiamo studiare? Noi dobbiamo solo lavorare la terra, non abbiamo bisogno di saper leggere e scrivere. Sappiamo bene com’è andata a finire.

E’ per questo che dobbiamo tutti apprendere o consolidare le conoscenze sulla nuova finanza 2.0 che si sta diffondendo a livello globale attraverso la Rete e gli strumenti finanziari di capitalismo diffuso. E’ l’unico modo per non diventare analfabeti e capire come reperire risorse per le nostre imprese, le nostre start-up, le nostre idee, i nostri progetti.

D’altra parte, usciti o meno dalla crisi, chi si ferma è perduto. L’analisi sugli effetti della crisi sul rapporto tra finanza, aziende e patrimoni è ormai vasta e ha raggiunto orizzonti importanti. Uno di questi, purtroppo non controverso, è che esiste una correlazione molto stretta fra i punti critici della finanza d’impresa e gli ostacoli ad ottenere credito. Basta questo per capire quanto sarebbe sterile prendersela solo con le banche che negano credito e/o lo fanno pagare troppo caro. Intendiamoci: è indubbio che il credit crunch sia stato causato anche da comportamenti riconducibili alle banche ma, al di dell’analisi delle cause, rimane centrale il tema di innovare anche la finanza per le PMI nel nostro Paese.

Abbiamo bisogno di un “Virgilio” che ci guidi in un futuro fatto di sistemi aperti, che ci aiuti ad entrare, in modo semplice ed accessibile a tutti, nell’era della finanza 2.0, un’era fondamentale per sbloccare il circolo vizioso credit crunch-recessione. Perché parliamo di innovazione? La risposta è semplice: i nuovi finanziamenti vanno trovati aprendo canali alternativi a quello bancario, canali da tempo individuati ma mai diventati realmente efficaci. Facciamo qualche esempio: in Italia, la crisi ha frenato in Italia lo sviluppo del mercato del private equity, importante per le PMI che non accedono alla Borsa. Anche l’espansione degli strumenti ibridi di capitale, come il mezzanine finance, va rilanciata. Le emissioni di obbligazioni corporate sono limitate alle grandi aziende: bisogna sostenere tale mercato e farvi accedere anche le PMI, sfruttando i mini bond.

Ma c’è di più. Viviamo in un’epoca in cui Rete, conoscenza e innovazione stanno plasmando la nostra vita in modo da rendere tutti consapevoli di avere la possibilità di collaborare alla crescita. Anche attraverso nuove forme di finanziamento come il crowdfunding, letteralmente il finanziamento dalla folla. Questo è il prossimo salto di paradigma del futuro che possiamo sintetizzare così: capitalismo diffuso, connessione e collaborazione in Rete, finanziamento diffuso.

Fantastico vero? Certo ma la domanda successiva è: come si fa concretamente? Quali sono le variabili in gioco? Domande che necessitano di risposte complesse. Non più solo private banking all’italiana, ovvero gestione degli asset finanziari (quasi sempre) liquidi. In questa nuova era, l’era della finanza diffusa 2.0, il wealth management, la gestione complessiva di degli insiemi reddito-azienda-patrimonio-famiglia è l’orizzonte da perseguire in un mondo che sta cambiando alla velocità della luce.

 


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