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Ecco gli errori che hanno affossato Hollande

In Francia i numeri parlano chiaro. La secca sconfitta elettorale della sinistra socialista e la contestuale fragorosa vittoria del Front national rappresentano le due facce della medesima medaglia: la disoccupazione è elevata, e per di più cresce. Due mappe coincidono perfettamente: quella in cui sono indicati i dipartimenti in cui sono più elevati i tassi di disoccupazione, e quella in cui sono rappresentate le sette regioni in cui ha prevalso il Front national guidati da Marine Le Pen. Seguono le tre circoscrizioni in cui il maggior suffragio è andato ai Repubblicani capeggiati da Nicolas Sarkozy, e le due sole in cui ha prevalso il voto socialista, che fa riferimento al presidente François Hollande. Tanto più è alta la disoccupazione, tanto più numeroso è stato il voto di protesta che ha privilegiato il Front national contro i deludenti risultati della presidenza Hollande, con una impressionante progressione.

Se i Repubblicani di Sarkozy hanno pagato l’eredità di quando l’allora presidente andava a braccetto con la Germania della cancelliera Angela Merkel, e della politica di rigore allora adottata, i Socialisti di François Hollande hanno pagato il tradimento delle promesse elettorali fatte nel 2012, riassunte nei famosi “60 impegni per la Francia” in cui campeggiavano al punto 11 l’impegno formale alla rinegoziazione del Patto Europeo di Stabilità e Crescita, alla modifica del ruolo della Bce al fine di renderlo omogeneo a quello delle altre principali banche centrali, ed alla istituzione degli Eurobond. I risultati della presidenza francese sono stati pari a zero, considerato che è stata la presidenza italiana, sotto la guida di Matteo Renzi, a chiedere ed ottenere almeno la flessibilità nell’applicazione delle clausole del Fiscal Compact e l’impegno diretto dell’Unione a favore degli investimenti infrastrutturali, attraverso il Piano Junker, peraltro ancora inattuato.

Lo stesso Quantitative easing, deciso autonomamente dalla Bce, ha come unico obiettivo quello di aumentare il tasso di inflazione per portarlo vicino, ma al di sotto del 2%: non ha niente a che vedere con il sostegno all’occupazione profuso con successo la Fed, che ha unito i suoi sforzi a quelli compiuti attraverso il deficit del bilancio federale americano.

Dopo la crisi, il numero dei disoccupati in Francia è cresciuto in continuazione, dopo aver toccato il minimo nel febbraio del 2008, quando era sceso, per la prima volta dal 1966, sotto la soglia dei due milioni di unità. Secondo l’ultima rilevazione, che fa il punto al 1° ottobre scorso, il numero dei disoccupati è arrivato a 3 milioni 590 mila unità. È peggiorata anche la disoccupazione di lunga durata, quella con più di un anno di inattività: da meno di un milione di unità nel 2008, ora è di 2 milioni e 436 mila unità: chi perde il lavoro viene espulso per sempre. Ancora più grave è il fatto aumenta più di tutti il tasso di disoccupazione degli ultra cinquantenni: in un anno è aumentato del 9,5%, con un aumento di altri 74,5 mila iscritti alle liste di collocamento. Chi in Italia predica ancora maggiore flessibilità in uscita dal mercato del lavoro, abrogando completamente l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, si prepari.

C’è da dire, poi, che in Francia non è stato conseguito nessuno degli obiettivi promessi dal candidato Hollande: né in termini di crescita economica, né tantomeno di risanamento delle finanze pubbliche: nel 2014, la crescita del Pil francese avrebbe dovuto essere del +2%, mentre è stata appena del 0,2%. Quest’anno doveva raggiungere un intervallo compreso tra i 2 ed il 2,5% ed invece non andrà oltre il +1,2%. Inutile parlare dell’azzeramento del deficit pubblico, che pure era stato prospettato per il 2017: la Francia non ha mai rispettato neppure il tetto del 3% previsto dal vecchio Trattato di Maastricht la Francia, ed è tuttora in procedura di infrazione da parte della Commissione. Ancora quest’anno, il rapporto deficit/pil sarà del 3,8% e l’anno prossimo del 3,4%. Il debito pubblico, anziché ridursi come promesso già a partire dal 2012, per arrivare nel 2017 all’80,2%, è salito continuamente: secondo il Fmi, a quella data sarà del 98%.

Tutte le promesse di crescita del Pil, che erano state fatte nel 2012 dal candidato Hollande, corrispondevano alle previsioni dell’epoca, si fondavano sulle convinzioni accettate anche dal Fmi poi dimostratesi palesemente errate: anzi, chi più ha rispettato gli impegni al rigore, peggio si è ritrovato. L’Italia, che secondo i calcoli di allora avrebbe avuto un deficit pubblico sempre intorno al 3%, veniva accreditata di una crescita economica annua mai inferiore all’1,3%; quest’anno avrebbe dovuto avere la disoccupazione al 7,4% ed il rapporto debito/pil al 118,7%. Ed invece, grazie al rigore impostoci sin dal 2011, abbiamo avuto tre anni di recessione e solo quest’anno arriveremo ad un segno positivo, con un +0,8% di crescita, mentre la disoccupazione è passata dall’8,4% del 2011 al 12,2% di quest’anno.

Il candidato Hollande aveva capito che il Fiscal Compact sarebbe stato nocivo per la Francia e per tutta l’Europa: per questo si era impegnato a cambiarlo e per questo fu votato. Ma non ha fatto niente di ciò che aveva promesso. Intanto, la disoccupazione in Francia è continuata a crescere e le sue finanze pubbliche non sono state risanate: il poco rigore non la ha salvata. Anche Parigi è rimasta travolta dalla stagnazione di un intero continente.

Ora anche il presidente francese Hollande è tra i perdenti: doveva imporsi alla Germania, cambiando come aveva promesso il Fiscal Compact e lo statuto della Bce, ed invece ne ha subìto la prepotenza. Poteva chiedere sostegno politico all’Italia ed alla Spagna, ma non ha avuto la forza di chiedere aiuto ai più deboli: voleva fare tutto, da solo, per presunzione. Ed invece non ha fatto nulla, ed ora è dalla parte sbagliata della Storia.


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