Grazie all’autorizzione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Marino Longoni apparso su Italia Oggi il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi
Il bail-in, che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2016 in Italia, rischia di innescare l’ennesima fuga di risparmiatori alla ricerca di lidi più sicuri. Ci sono alcuni indizi e alcune considerazione logiche che mostrano come il pericolo sia reale. Partiamo dalle ragioni di fondo: il meccanismo di «salvataggio interno» imposto dalla commissione europea non è pensato per tutelare le ragioni dei risparmiatori, ma degli stati, che non dovrebbero essere più chiamati a dissanguarsi per coprire i buchi creati dal sistema finanziario. Il tentativo è quello di limitare il moral Hazard degli istituti di credito che, sapendo di avere comunque le spalle coperte dallo Stato perché troppo importanti per essere lasciate fallire, tendono a deresponsabilizzarsi, a privilegiare scelte azzardate ma remunerative.
Si tratta inoltre di un meccanismo che può effettuare efficaci interventi di pronto intervento in casi di crisi limitate, episodiche. In pratica, può coprire il dissesto di una o due piccole banche. Contro il default di due grandi banche, o in caso di crisi sistemica, non c’è fondo che tenga. Non è un caso se il 74% dei patrimoni regolarizzati con la voluntary disclosure è rimasto all’estero, soprattutto in Svizzera. Una delle discriminanti è che in Italia si applicherà il bail-in, in Svizzera no.
Le banche più importanti si stanno attrezzando. Intesa Sanpaolo ha aperto pochi giorni fa, il primo dicembre, una filiale di private banking a Londra. L’obiettivo esplicito è quello di raccogliere il risparmio delle famiglie che vivono in Italia e vogliono diversificare il rischio sia in termini di bail-in, sia di rischio monetario o rischio paese. Ersel si appresta a fare la stessa cosa. Sempre a Londra. Soprattutto per le banche di minori dimensioni, a questo punto, un’ombra reputazionale può innescare una fuga di clienti in grado di travolgerle. Grazie anche al bail-in.