In un graffiante corsivo sul Corriere della Sera di oggi, Pierluigi Battista descrive la discesa agli inferi di Antonio Ingroia, l’ex star della magistratura siciliana che aveva elevato (insieme a Marco Travaglio e Michele Santoro) Ciancimino jr a “icona dell’antimafia”, l’ex leader di una lista intitolata “Rivoluzione civile” (un clamoroso flop elettorale), poi messo a capo dal governatore Rosario Crocetta di “Sicilia e-Servizi” (con esiti disastrosi per il funzionamento del web della Regione).
La sua parabola è emblematica. Basta dare un’occhiata superficiale alla storia del nostro Paese per accorgersi che gli italiani fanno presto ad invaghirsi del Girolamo Savonarola di turno, e fanno anche presto a disfarsene. Alla fine del Quattrocento il frate domenicano si presentò al popolo fiorentino come il moralizzatore di una Chiesa simoniaca e corrotta e di una società lasciva e viziosa, per fondare una “Nuova Gerusalemme” mondata dal vizio e dal peccato. Conosciamo l’infausto destino a cui andò incontro il “profeta disarmato”, come lo definì Niccolò Machiavelli. Mi è venuto in mente questo tragico personaggio perché gli odierni “Piagnoni”, come si chiamavano i seguaci di Savonarola (ogni riferimento ai pentastellati e ai fan per mestiere della lotta alla “casta” non è puramente casuale), tendono a schiacciare l’autonomia della politica confondendo etica pubblica e morale privata.
In altre parole, escludendo che il politicamente utile possa essere moralmente giusto se misurato con il metro di quell’etica pubblica che riguarda, appunto, la “salus rei publicae”, l’interesse generale contrapposto agli interessi particolaristici (beninteso, la “salute della patria” ha contenuti storicamente mutevoli, che danno sempre luogo a conflitti e interpretazioni divergenti). Da noi, invece, l’appello all’etica continua ad essere usata come una clava per abbattere nemici e avversari, per trasformare i rei in peccatori e i peccatori in rei, per sublimare ogni ladro di galline in un incallito mafioso (ogni riferimento a “Mafia Capitale” anche stavolta non è puramente fortuito).
Eppure Max Weber ci ha insegnato che la politica non è nata ad Assisi. Ma a Luigi Di Maio e ad Alessandro Di Battista che gliene importa? Per loro è nata sulla Rete di Gianroberto Casaleggio, quando Beppe Grillo nei suoi spettacoli teatrali entrava ancora in scena indossando la tunica di Savonarola e spaccando un computer sul palcoscenico.