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La Francia con Marine Le Pen. Un’analisi.

Marine Le Pen conquista il cuore dei francesi. L’esito delle elezioni regionali in Francia ci ha lasciato l’amaro in bocca. Per lo meno a me. Ma non mi ha stupito.

1. Non è merito del terrorismo

L’analisi secondo cui il Front National è stato premiato dai francesi a causa degli attentati terroristici è molto riduttiva e forse anche superficiale. Gli attentati in Francia possono aver rassicurato chi già votata il FN, dando concretezza all’idea che la loro scelta fosse sempre stata giusta e potrebbero aver spinto elettrici ed elettori vicini alla destra e al FN a partecipare al voto. Ma il dato che deve far riflettere è quello dell’astensione quasi al 50%. Se gli attentati avessero davvero smosso qualche cosa in termine elettorali, l’astensione sarebbe stata più bassa. No, invece solo la metà dei cittadini francesi ha deciso di partecipare a queste elezioni e considerando i risultati è evidente che il FN ha vinto perché gli altri non sono stati capaci di mobilitare il loro elettorato.

Il Partito Repubblicano di Sarkozy (27%) e il Partito Socialista (24%) del Presidente Hollande hanno visto ridurre il proprio consenso sensibilmente. Le ragioni di tale crollo non possono essere cercate negli attentati del 13 novembre 2015. Ma nemmeno in quelli di gennaio a Charlie Hebdo. Non è a causa del terrorismo che gli elettori hanno partecipato o meno alle votazioni.

La soluzione che alcuni commentatori hanno proposto è un patto tra socialisti e repubblicani come argine al Front National. Come ho avuto modo di scrivere già, trovo la soluzione proposta un segno di miopia politica seria nel lungo periodo. Giacché se siamo arrivati a questo punto è probabilmente proprio a causa di questi continui patti.

2. La retorica della responsabilità

La tendenza che si è osservata negli ultimi anni, non solo in Francia, è un progressivo avvicinamento dei partiti di centro-sinistra e centro-destra. Specie dopo la crisi economica del 2008. Questo avvicinamento è stato descritto ad elettrici ed elettori dei rispettivi schieramenti come un atto di responsabilità. Questi partiti hanno creduto, scioccamente, che questa retorica potesse essere sufficientemente valida per convincere tutte e tutti della bontà delle loro scelte. A molti, invece, deve essere suonata come la solita pagliacciata per cui si trova un accordo per salvaguardare il proprio spazio di potere, gli si dà un nome che suona bene – responsabilità – e si va avanti. Poco importa se azioni e scelte compiute sono state tutto tranne che responsabili.

Vorrei qua citare alcuni esempi veloci per far capire di cosa parlo: nel 2010 il governo Berlusconi si salva per il voto di due ormai noti individui che giustificano la loro scelta come atto di responsabilità. Era palese che non fosse vero, ed è stato ben documentato successivamente. La scelta era del tutto personale: salvaguardare se stessi. Un atto di irresponsabilità pubblica che ci è costato mesi di agonia economica e politica. La situazione in Grecia, prima dell’avvento di Syriza. Grandi coalizioni che hanno prodotto la quasi bancarotta della Grecia. Il partito socialista greco è quasi sparito, un po’ quello che accadde dopo Craxi in Italia. Oggi il PSI è inchiodato all’1%.

3. Dalla Francia all’Europa: non abbassiamo la guardia

Quello che è accaduto in Francia è un campanello d’allarme per l’Europa. Un allarme, in vero, che suonava già dall’anno scorso in modo forte. Forse il fiaschio dell’UKIP in Gran Bretagna, nelle scorse elezioni politiche, ha fatto tirare un sospiro di sollievo a tutti. Ma è stato un errore.

In Germania le cose vanno, dal punto di vista economico, molto bene, non si può dire diversamente. Ma a livello di partecipazione politica le cose sono assai diverse. Anche qua la partecipazione è bassa e la disaffezione in crescita. L’SPD malgrado una buona rete territoriale e un numero alto di iscritti è fermo da 15 anni al 25%. Anche la CDU inizia ad avere qualche problema. In questo caso è stato il caso dei rifugiati a creare malcontento all’interno della coalizione di CDU/CSU. L’AfD è invece salito nei sondaggi a quote impensabili fino all’anno scorso, in alcune regioni, infatti, ha raggiunto il 12-14%.

In Italia la situazione è economicamente precaria, anche se in leggerissima ripresa, e politicamente disastrata. La partecipazione è crollata nel giro di pochissimo tempo. Le ultime elezioni regionali segnano un dato negativo senza precedenti per la storia del nostro paese. Pensare che in Toscana ha votato solo la metà degli aventi diritto, come in Umbria, e in Emilia anche meno, lascia l’amaro in bocca. In questi ultimi due anni crescono i partiti come Fratelli d’Italia (4%) e Lega Nord (14%). Sempre per citare l’esempio della Toscana, perché quello eclatante, la Lega è il secondo partito con quasi il 20%.

 4. La contrapposizione destra/sinistra ha ancora senso?

Mi è stato chiesto se la contrapposizione destra e sinistra ha ancora senso. Mi è stato chiesto se descrivere il Front National come “destra” ha senso. Trovo le domande giuste e interessanti. I partiti che stanno aumentando il loro consenso negli ultimi anni sono partiti che propagandano alcune cose, in modo differenti certo e con retoriche differenti, e cioè: nazionalismo e protezionismo.

Il filo rosso che collega partiti diversi tra loro come Syriza (Grecia), Front National (Francia), Alternativ für Deutschland (Germania), Movimento 5 Stelle (Italia), Lega Nord (Italia), UKIP (Uk), Fidesz (Ungheria), Sverigedemokraterna (Svezia), Perussuomalaiset (Finlandia), Dansk Folkeparti (Danimarca) e Prawo i Sprawiedliwość (Polonia) è l’approccio euroscettico e il propagandare il bisogno del ritorno a una maggiore sovranità nazionale e alla ricerca di un’identità nazionale. Questi partiti sono nazionalisti ed euroscettici.

Se togliamo Syriza che è espressione della sinistra radicale in Grecia  e il Movimento 5 Stelle, che non collocato tra destra e sinistra, ma è antisistema (ci torno più avanti), tutti quei partiti sono chiaramente identificabili nella destra o destra estrema. In che modo li collochiamo lì? Perché i valori che sostengono, professano e difendono sono quelli propri dei partiti tradizionalmente collocati a destra di cui abbiamo memoria: difesa della patria, del territorio, delle fantomatiche radici cristiane, dell’identità locale e nazionale, chiusura verso l’esterno e diffidenza preconcetta verso l’altro, protezionismo economico e retorica del “prima ai nostri” .

Quello che quei partiti poi non condividono con il Movimento 5 Stelle, invece, è la logica antisistema. I partiti nazionalisti che ho citato, infatti, non criticano affatto il sistema Paese come avviene in Italia con i 5 Stelle, essi rispettano le istituzioni e ne riconoscono l’importanza, hanno un chiaro progetto in mente di sostituzione: mirano al potere perché vogliono occupare le istituzioni e imprimere il loro marchio. Della logica del Movimento 5 Stelle invece, il sistema, le sue istituzioni, le regole che ci sono, non hanno un valore di per sé, sono strutture da abbattere così come lo sono i partiti. Quello che è chiaro del M5S è che sono una forza multiforme che oscilla una volta a destra e una volta a sinistra in base alla discussione del momento e alle opinioni che in quel momento si sviluppano. Non c’è un orizzonte di valori chiaro come lo si potrebbe rintracciare per i partiti nazionalisti di destra o per quelli di sinistra.

Per rispondere alla domanda quindi: sì, la distinzione destra e sinistra ha ancora senso perché è ancora concreta e reale. Si aggiungono tensioni antisistemiche che portano con sé un problema di gestione del potere e della cosa pubblica: distruggere un sistema per fare poi cosa? Manca, secondo me, in quei movimenti un piano per il domani. Manca, cioè, la parte costruttiva che consegue a quella distruttiva. Solitamente.

Conclusioni

Vorrei quindi concludere con un’osservazione molto semplice: l’esito delle elezioni in Francia non mi ha stupito, mi ha stupito l’incapacità delle sinistre in Europa, fino ad oggi, di proporsi come un’alternativa valida a questi movimenti estremisti ed euroscettici. Mi ha stupito la poca lungimiranza dei partiti socialdemocratici non di questi mesi, ma degli ultimi anni.

L’identità è una questione seria e checché se ne dica ha ancora un forte valore. E per me non è affatto una cosa negativa. L’identità è una costante che non preclude il cambiamento. L’identità della sinistra in europa è quella che ho citato nel precedente articolo, ossia  cosmopolita. Che è progressista, innovatrice, sociale e democratica. Credo che la risposta migliore al dilagare di partiti nazionalisti e xenofobi sia la mobilitazione di quella ampia fetta della società che si è disillusa, distaccata e annoiata di anni di tentennamenti, di sovrapposizioni ideologiche tra destra e sinistra. La mobilitazione parte dalla ri-identificazione di queste persone con i partiti che sentono vicini. La socialdemocrazia europea affronta oggi una grande sfida: deve avere il coraggio di andare per la propria strada, senza cercare alcun compromesso con i partiti di centro-destra, per riacquistare credibilità agli occhi delle sue elettrici e dei suoi elettori.

Coerenza, chiarezza e progettualità. La sinistra può riprendere le redini della situazione e guidare il cambiamento che aspettiamo e che ci serve per un’Europa davvero unita e migliore.

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