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Perché elogio Renzi che redarguisce Merkel

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo un estratto del commento di Domenico Cacopardo apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

La performance di Matteo Renzi a Bruxelles è di quelle di cui si conserverà memoria nei polverosi corridoi di Palazzo Berlaymont (sede degli uffici della Commissione europea): dopo anni di profondi inchini e di smaccati ossequi alla Germania e alla sua cancelliera Angela Merkel –col primato a Mario Monti, durante la cui presidenza la disastrata Italia fornì all’Unione un’imponente massa di quattrini da utilizzare per il salvataggio della Grecia e per li rami delle banche tedesche-, un primo ministro italiano assume una posizione autonoma, replicando punto per punto ai desiderata della Germania con argomenti così forti da determinare una convergenza generale su di essi. A sostenere le ragioni teutoniche è rimasta solo l’Olanda.

Nelle redazioni italiane, tra gli osservatori non-indipendenti e antipatizzanti che le animano, si manifesta la speranza che Angela Merkel la faccia pagare cara a Matteo Renzi, il giovane boy-scout che ha avuto l’improntitudine di chiamare pane il pane, vino il vino e di denunciare incongruenze, contraddizioni e smaccati favoritismi della potenza egemone.

A partire dal leit-motiv di una Germania campione di europeismo. Quando la Merkel, che doveva avere avuto qualche avvisaglia del cambiamento di clima, s’è azzardata a dichiarare che «la Germania sta sostenendo il resto d’Europa», il nostro primo ministro le ha risposto con l’ironia del toscanaccio: «Non potete raccontarci che state donando il sangue all’Europa, cara Angela».

Intorno alla smentita di quella che sino a ora era passata, nell’ovattato e ipocrita rituale comunitario, come una indiscutibile e indiscussa verità, s’è poi sviluppato uno scontro dialettico, alla fine del quale, la cancelliera ha incassato una delle poche sconfitte della sua lunga carriera politica. Una donna tetragona agli attacchi e alle difficoltà ha dovuto ingoiare l’amaro calice della fondata critica alle sue proposte (sino a ieri più diktat che altro) e rifugiarsi nel corner di un invito di Renzi a Berlino per mettere a fuoco e rimuovere i punti di dissenso.

Primo fra tutti, il rapporto con la Russia, alla quale, dopo l’opposizione italiana (al rinnovo automatico) sono state prorogate le sanzioni. Gli italiani avevano così voluto lanciare ai partner un segnale preciso: «Attenzione, lo scenario internazionale è stato così cambiato dal terrorismo islamico che non è più possibile continuare nella politica di ostilità attiva alla Russia.»

Intorno a questo problema si manifestano le maggiori contraddizioni dell’azione della cancelliera.

È da tempo chiaro come l’Ucraina sia lo strumento di un gioco americano volto a contenere la crescita politica della Russia di Putin. Nel momento in cui a Kiev veniva eletto Janukovy, un presidente di equilibrio tra ucraini-ucraini e russofoni, nello stesso momento iniziava un’operazione americana diretta a organizzare e sostenere un golpe per sostituirlo con un filoamericano antirusso. Infatti, il 25 maggio del 2014, si realizzava il Putsch e l’amerikano Poroenko assumeva il potere. Protagonisti i partiti nazionalisti e, tra essi, i neonazisti, il cui apparato è dotato di milizie combattenti, della cui ferocia è facile trovare testimonianze neutrali.

La Germania si allineò, ritenendo di realizzare con l’Ucraina quella colonizzazione dell’Est che non era riuscita alle armate di Hitler, e condannò le operazioni militari russe e delle milizie dei russofoni, dall’annessione della Crimea (da sempre terra russa) alla difesa delle zone sottoposte agli attacchi delle milizie neonaziste e dell’esercito regolare ucraino. E poi, seguendo pedissequamente Obama, condusse l’Europa alla politica delle sanzioni e dell’isolamento economico di Putin, che riuscì a ribaltare la situazione stipulando l’accordo di cooperazione economica più grosso della storia con la Cina.

A Bruxelles, l’altro giorno, contestualmente al rinnovo delle sanzioni, la Germania ha presentato l’ipotesi di raddoppiare il gasdotto Northstream, che segue la rotta baltica e conduce il medesimo gas direttamente nel territorio della Repubblica federale.

Nel clima succube di Bruxelles ci voleva il coraggio e l’incoscienza di Renzi per esprimere opposizione alla realizzazione di questo raddoppio, gettando sconcerto nel campo tedesco e ottenendo il consenso di tutti gli europei, tranne, appunto, Germania e Olanda.

Non possiamo che esserne soddisfatti: sono anni che andiamo sostenendo che, vigendo il regime dell’unanimità, l’Italia, come Malta, ha diritto di difendere i propri interessi esattamente allo stesso modo della Repubblica federale, opponendosi a tutto ciò che direttamente o indirettamente li mette in discussione.

Da un presidente senza autorevolezza come Berlusconi, eravamo passati a Monti e a Letta, del tutto appiattiti sugli sbatter di ciglia della cancelliera: finalmente c’è qualcuno che non si lascia intimidire e, se necessario o semplicemente opportuno, contesta le proposte altrui.

Naturalmente, nell’uscita di Renzi c’è dell’altro come la contestazione delle perplessità comunitarie sulla legge di stabilità 2016, sul salvataggio delle 4 banche (una perplessità scandalosa, visto cos’ha combinato in materia proprio la Germania) e l’apertura del procedimento di infrazione per l’incontestabile lassismo nelle modalità di accoglienza degli immigrati illegali, non sottoposti in gran parte all’identificazione e alla rilevazione delle impronte digitali.

A proposito, poiché l’Europa ci ha detto che le impronte vanno prese anche in modo forzoso, aspettiamo tranquillamente la reazione dell’autorità giudiziaria italiana al primo caso in cui un poliziotto italiano si azzarderà a mettere le mani addosso a un immigrato (illegale) per acquisirle. E c’è anche un’esigenza di politica interna. Nel momento in cui appare incartato e, politicamente, pasticcia, Renzi ha cercato e ottenuto in politica estera la rivincita di un successo (quanto effimero lo vedremo) che gli restituisca un po’ dello scosso prestigio.

Una tattica vecchia come il cucco che, abilmente, il nostro premier rispolvera al momento giusto, dimostrando una capacità di manovra e una spregiudicatezza che da qualche decennio non vedevamo alla testa del Paese.

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