La prima parte del discorso della cancelliera tedesca Angela Merkel si può leggere qui
La Turchia gioca un ruolo chiave nella gestione del flusso dei profughi. Dobbiamo combattere insieme contro la tratta di esseri umani e gli scafisti. La Turchia è un membro della Nato. La Grecia fa parte della Nato. La Turchia sta conducendo trattative per l’ingresso nell’Ue. Lungo una stretta striscia dell’Egeo non regnano più diritto e giustizia, ma gli scafisti e trafficanti. E questo per noi è inaccettabile. Per questo dobbiamo trovare una soluzione insieme alla Turchia.
Sono molto soddisfatta che nel frattempo l’Ue e la Turchia abbiano elaborato un piano comune di azione. È anche un modo, da parte dell’Europa, di riconoscere non solo a parole ma con i fatti, che la Turchia da anni, da quando c’è la guerra civile in Siria, ospita 2 milioni di profughi. Ed è anche un nostro desiderio far sì che le condizioni di vita dei profughi li migliorino. E visto che come Unione Europea non abbiamo fino a oggi contribuito molto perché ciò accada, ora investiremo 3 miliardi di euro in progetti che hanno l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita dei profughi in Turchia. Otterranno un permesso di lavoro. Faremo in modo che vi siano opportunità di istruzione. Dei 2 milioni di profughi in Turchia 900mila sono bambini. I profughi in futuro godranno di una migliore assistenza sanitaria. Questo vuol dire combattere con i fatti le cause dell’esodo di massa. E l’Europa è chiamata ad assumersi le proprie responsabilità.
Punto due. Bisogna ristabilire un rigoroso controllo lungo le nostre frontiere esterne. È un po’ come con l’euro, l’altro grande progetto comune europeo. Ci siamo avvalsi volentieri dei vantaggi offerti da Schengen: libertà di movimento per l’economia, per gli studenti, per i cittadini. Non riusciamo nemmeno più a immaginare come fosse quando esistevano i controlli alle frontiere. Allora gli scambi erano di molto inferiori. Abbiamo goduto dei vantaggi, senza però essere pronti a confrontarci con situazioni problematiche. A dire il vero, la Germania, dopo aver accolto nei primi anni Novanta 400mila profughi dall’ex Jugoslavia, era contenta che d’allora in poi fossero protette le frontiere esterne e che solo di tanto in tanto qualche profugo atterrasse all’aeroporto di Francoforte o di Monaco. Ora però ci confrontiamo con la prima vera grande prova: l’arrivo in massa di profughi, e la nostra protezione delle frontiere esterne si è dimostrata non all’altezza. Appare lampante che il sistema Dublino non è all’altezza della situazione: non è che possiamo dire ai profughi di restare in Grecia o in Italia. Ma possiamo aspettarci che Grecia e Italia costruiscano i cosiddetti “hotspot”. Il che vuol dire non solo registrarli lì, ma da lì poi distribuirli in Europa o rimandarli indietro dai Paesi di provenienza se la loro richiesta di asilo o di assistenza sussidiaria non è stata accolta. Il trattato di Dublino va inteso così. E deve essere messo in pratica. A tal fine ora ci impegniamo. E lo faremo in modo deciso assieme a molti altri.
Siamo anche disposti ad assicurare aiuti europei. Sono contenta che la Commissione presenterà una proposta su come possiamo sviluppare e rendere più efficace la protezione delle frontiere esterne. È un piano al quale devono partecipare tutti i Paesi membri dell’Ue. Non è possibile lasciare questo compito in mano a due, tre Paesi posti sui confini esterni. La CDU sosterrà fermamente questo approccio.
Ma non dobbiamo nemmeno dimenticare che siamo il Paese che maggiormente dipende da Schengen. Siamo l’economia più grande. Ci troviamo al centro dell’Europa. Abbiamo molti vicini. Schengen è per noi di importanza vitale: basta vedere il profitto, la forza economica e di sviluppo che abbiamo tratto dall’euro. Per questo vale la pena mettercela tutta.
Punto tre. Noi insistiamo sulla solidarietà europea. È già un grande successo il fatto che facendo leva sul concetto di solidarietà vengano distribuiti 160mila profughi. Lo so, gli ingranaggi europei si muovono lentamente, ma riusciremo a farli girare.
Punto quattro. Così come dobbiamo risolvere, eliminare gli errori di costruzione dell’unione economica e monetaria, così dobbiamo rimuovere i difetti di Dublin III. Alcuni li ho già citati.
Punto cinque. Dobbiamo rafforzare l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo EASO.
Punto sei. Vogliamo – e ci dobbiamo arrivare – un sistema di riconoscimento dell’asilo che sia unitario, che disponga di strumenti decisionali simili in tutta l’Ue. Questo permetterebbe di combattere in modo efficace i tentativi di abuso.
E ora concentriamoci sulla sfida a livello internazionale. Qui si tratta di combattere le cause che spingono a lasciare il proprio Paese o i Paesi di transito. Noi ci adoperiamo per ristabilire la pace in Siria e la stabilità in Iraq e in Afghanistan. I colloqui di Vienna sono da questo punto di vista un segnale che per lo meno lascia spazio a un briciolo di speranza. Poco, certo, ma meglio che niente. Abbiamo bisogno di un governo in Libia. E si sta lavorando per giungere a un governo di unità nazionale. Ad adoperarsi in questo senso c’è anche un diplomatico tedesco. Poi avremo bisogno di aiuti per la ricostruzione. Dobbiamo rafforzare la nostra politica di sviluppo nei Paesi terzi. Dovremo organizzare la nostra politica di sviluppo in modo diverso. Dovremo anche dire a quei Paesi in via di sviluppo che non fanno nulla affinché le loro popolazioni siano soddisfatte e possano partecipare e godere dei progressi dello sviluppo, che questo avrà delle conseguenze, delle ripercussioni sugli aiuti che noi siamo disposti a dare. Non possiamo accordare sempre più aiuti e vedere che in alcuni Paesi la trasparenza e la libertà vengono progressivamente ridotte. Sono due cose che non possono stare insieme.
Dobbiamo garantire un’assistenza dignitosa ai profughi nei campi di accoglienza o nelle città in cui si trovano, in Libano, in Giordania, in Iraq. Non è ammissibile che, come ha denunciato il Consiglio dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, non vi sia abbastanza cibo perché mancano i finanziamenti; non è ammissibile che non si sia in grado di mettere a disposizione almeno un dollaro al giorno per profugo, ma solo 30-35 cent. Si tratta di un atteggiamento imperdonabile da parte dei Paesi ricchi del mondo e anche terribilmente miope. E non sto parlando solo dell’Europa, ma di tutti i Paesi. Questo è inaccettabile.
Per questo organizzerò il prossimo 4 febbraio 2016 a Londra, insieme a David Cameron, la mia collega norvegese Erna Solberg e l’emiro del Kuwait, una conferenza per la raccolta fondi. E faremo tutto il possibile per colmare il buco nelle casse del programma di nutrizione dell’UNHCR (attualmente manca il 50 per cento dei fondi promessi). E ci adopereremo anche, affinché ciò non avvenga mai più in futuro. Credo di poter contare sul vostro sostegno.
Prolungheremo la nostra presenza in Afghanistan. Lo faremo perché lo richiede la situazione nel Paese. Ma il fatto che i nostri soldati proteggano i cittadini afghani ha ovviamente conseguenze sulla questione dei profughi. Voglio dire che dovremo approntare alternative all’esodo dall’Afghanistan. In Afghanistan ci sono zone sicure. Ne ho parlato, così come ne ha parlato Ursula von der Leyen, molto apertamente con il capo di Stato afghano. Thomas de Maizière si occuperà dunque non solo dell’addestramento delle forze di polizia per intervenire contro i talebani, ma anche contro i trafficanti. In un Paese nel quale operano i nostri soldati, non possiamo assistere inermi al fatto che i trafficanti conducano le persone lungo rotte pericolose e che successivamente queste persone siano costrette a lasciare il proprio Paese.
Grazie a questo intervento nazionale, europeo e internazionale saremo in grado di mettere ordine alla migrazione, combatterne le cause e ridurre il numero dei profughi.
Ma proviamo ad essere sinceri. Dietro allo scetticismo che suscita l’affermazione “ce la faremo” c’è dell’altro. Non ci sono solo dubbi ovvi, interrogativi su come riusciremo a dare un’accoglienza decente a tutti; non ci sono solo domande di carattere giuridico riguardo alla sicurezza delle frontiere esterne. Dietro allo scetticismo si nascondono anche queste domande: cosa cambierà veramente? Ma noi vogliamo che qualcosa cambi? Quanto cambiamento ci fa veramente bene e quando questo cambiamento si trasformerà in un fardello? Come rendercene conto in tempo? Cosa possiamo fare noi? Che effetto produce il nostro modo di vivere su così tante persone che provengono dai Paesi arabi, da Paesi musulmani? Che effetto avrà la loro cultura su di noi? Alla luce del numero di persone provenienti da altre culture, resteremo alla fine la Germania che siamo, che conosciamo, un Paese forte e che ci ha reso forti? Guardando ai tanti profughi che arrivano da noi in Germania e in Europa, Wolfgang Schäuble ha parlato qualche tempo fa di un “rendez-vous con la globalizzazione”. E così è. Ora vediamo cos’altro può significare globalizzazione. Siamo sempre stati orgogliosi del titolo “campioni dell’export”. Abbiamo sempre dato per scontato che i posti di lavoro in Germania fossero sicuri. Siamo orgogliosi dell’influenza che ha la nostra ricerca scientifica. Diamo per scontato di poter viaggiare ovunque nel mondo. Questa è la globalizzazione che ci piace. Ma la globalizzazione ha anche un’altra faccia. Oggi ci raggiungono, e per giunta a una velocità impressionante, gli effetti delle guerre, del terrorismo, delle catastrofi naturali, della fame e della povertà. La linea netta che divideva un tempo la politica interna da quella estera, una divisione che abbiamo sperimentato così tante volte in Europa, non è più così chiaramente individuabile nella globalizzazione. È diventata più fluida. Uno smartphone oggi ce l’ha chiunque abbia quel tanto che basta per la propria nuda sopravvivenza. Per cui sa come vanno le cose altrove. Ora, noi possiamo reagire in due modi a questo sviluppo. Una possibilità è quella di sganciarci per paura delle conseguenza, sperare che prima o poi passi la buriana che ha investito l’Europa. Personalmente non credo però che ciò sia fattibile. Finiremmo per segregarci. Ma la segregazione non è un’opzione intelligente nel 21esimo secolo.
Per questo, dopo aver goduto a lungo dei vantaggi della globalizzazione non dovremmo oggi vedere solo i rischi ma anche le opportunità. Anche se la situazione è complicata. Sono convinta che se agiremo nel modo giusto le opportunità finiranno per essere di gran lunga superiori ai rischi. Ma per riuscire a fare ciò dobbiamo una volta ancora ricordarci – come così spesso abbiamo fatto in questi 70 anni – da dove veniamo, chi siamo e che valori portiamo in noi.
Qual è stato il motivo fondante che ha portato alla nascita della Unione cristiano democratica? Quel motivo può diventare oggi la nostra bussola. L’idea cha ha portato alla nascita della CDU è stata a ben vedere un’idea straordinaria: un partito che trova le sue fondamenta in questa ‘C’, cioè nella dignità che Dio ha dato a ogni persona. Il che vuol dire che oggi arrivano da noi non una massa indistinta di individui, ma singole persone. Ecco partendo da questo impulso fondante – la dignità della persona – che si trova anche nella nostra costituzione, ci è riuscito qualcosa che ci pareva inimmaginabile: superare il concetto di classi sociali. La CDU non è mai stata solo il partito dei lavoratori, mai solo il partito dell’economia, mai solo il partito dei cattolici o dei protestanti. No, la fondazione della CDU si basa su un grande lavoro di costruzione di ponti. Siamo un partito popolare. Ogni persona ha la dignità che Dio le ha conferito. E grazie a questa dignità ha la possibilità di unirsi a noi, indipendentemente dalla sua provenienza. È un principio che guida la CDU sin dal suo primo giorno.
La CDU è un partito che sin dall’inizio è stato consapevole del fatto che la Germania, dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale e dell’Olocausto, avrebbe potuto rimettersi in piedi moralmente e politicamente solo a patto di riuscire a costruire ponti, a superare divisioni anche fuori dai propri confini nazionali. Solo se avesse imparato a guardare il mondo circostante con altri occhi. Sono stati questi i presupposti per l’amicizia e la nascita dell’Unione europea. E abbiamo avuto fortuna, perché anche altri la pensavano come noi. E questo ha portato all’Unione europea.
In altre parole: l’essenza tedesca è strettamente intrecciata con l’ordine europeo, con l’idea di pace europea. Non c’è neanche bisogno di richiamare alla memoria la famosa frase di Helmut Kohl, che la posta in gioco in Europa è la guerra o la pace. Perché basta guardarci intorno per vedere che a tutt’oggi questa resta la partita più importante. 70 anni di pace possono apparirci come un periodo lungo. Ma paragonati alla storia, 70 anni non sono più di un battito di ciglia. Possiamo ricordarci di Konrad Adenauer, il nostro primo capo della CDU e primo cancelliere federale. Sessant’anni fa disse: “L’unità dell’Europa era un sogno di pochi. È diventata la speranza per molti. Oggi – eravamo nel 1954 – è una necessità per noi tutti”. Oggi, più di 60 anni dopo, sento di avere un dovere, in quanto capo della CDU. Il modo di Adenauer di concepire l’unità europea è anche il mio.
Così come la Germania è inevitabilmente parte dell’Europa, è anche inevitabile che la Germania e l’Europa siano saldamente ancorate e parte dell’ordine globale. Ricordiamoci di nuovo dell’impulso originario. Si tratta di nuovo di costruire ponti, ponti dall’Europa all’Africa, alla Turchia, ai Paesi asiatici; si tratta di trovare interessi comuni per arrivare a una pacifica convivenza. È questo che guida il mio agire, anche ora nella politica per i profughi nel “rendez-vous con la globalizzazione” come direbbe Wolfgang Schäuble. Sono convinta che siano le capacità e la disponibilità al cambiamento a decidere in questo mondo globale, il futuro. Se sbagliamo ora, allora perderemo un pezzo di futuro. Per questo è così importante che ci incamminiamo con coraggio, salvaguardando però i nostri valori e le nostre idee, e che lo facciamo insieme agli altri in Europa e nel mondo. Così potremo sviluppare le nostre idee di come debba essere la Germania del futuro.
Dall’unificazione tedesca sono trascorsi 25 anni. Ora chiediamoci come immaginiamo la nostra Germania tra altri 25 anni. Io vorrei che la Germania tra 25 anni fosse un Paese in cui impegnarsi, lavorare paga, un Paese che sostiene i liberi professionisti e gli imprenditori, che punta sulle capacità e l’inventiva delle persone. Una Germania dove vale il principio che “sociali” possiamo essere solo se diamo a coloro che si impegnano e hanno idee, lo spazio necessario per concretizzarle. È questo ciò che distinguerà la Germania del futuro.
Tra 25 anni la Germania deve essere il Paese che ha portato a termine il processo di trasformazione tecnologica, che partecipa alla rivoluzione digitale e che fa parte del gruppo di punta. Butto solo lì la parola d’ordine “Industria 4.0” e la domanda: come verranno costruite le automobili del futuro, come sarà il mondo del lavoro del futuro? Sono tutti processi, cambiamenti che vanno plasmati da noi e di cui vedremo gli effetti tra 25 anni. (…)
Tra 25 anni la Germania dovrà essere un Paese che dispone del miglior sistema di istruzione e ricerca. Ce la caviamo già abbastanza bene. Siamo però anche consapevoli che ciò non basta e che dovremo continuare a impegnarci perché nulla è dato. La Germania dovrà essere un Paese con un’alta qualità di vita. Vogliamo intervenire nell’attuale corso demografico, occupandoci dei giovani così come degli anziani. Già si vedono i primi effetti della riforma assistenziale per gli anziani e delle politiche per la ricerca.
La Germania tra 25 anni deve essere un Paese che ha concluso la riforma energetica, che è passato dal fossile alle energie rinnovabili, senza per questo aver scacciato l’industria dal Paese. I posti di lavoro in Germania devono essere mantenuti. La Germania non deve essere un paese che vive alle spalle delle future generazioni, né per quel che riguarda la politica finanziaria, né quella ambientale, né quella delle risorse. Per cui ringrazio per il lavoro svolto dalla commissione “Vivere in modo sostenibile, preservare la qualità della vita”. (…)
La Germania deve essere un Paese in cui la parola burocrazia avrà perso gran parte del suo peso, dove ognuno potrà sviluppare le proprie potenzialità creative. (…) La Germania deve essere un Paese in cui i bambini e le famiglie si sentono a loro agio, un Paese nel quale coniugare lavoro e famiglia non sia un argomento di dibattito quotidiano. Dobbiamo sviluppare un concetto di lavoro onnicomprensivo, che comprende sia il lavoro sulle persone sia il lavoro sui macchinari.
La Germania tra 25 anni deve essere un Paese in cui non sono in atto conflitti generazionali, di classe o di provenienza etnica, ma un paese che dispone di un forte collante interiore. Per questo abbiamo incaricato una commissione che si occupi delle tematiche “Rafforzare la coesione – il futuro della società”.
La Germania tra 25 anni deve essere un Paese in cui possiamo vivere al riparo da pericoli interni ed esterni. Thomas de Maizière lavora oggi per questo. È un impegno che proseguirà.
La Germania tra 25 anni deve essere un paese capace di vedere il mondo anche con gli occhi degli altri, che aiuta le persone in difficoltà, che in quanto membro consapevole dell’Unione Europea e della Nato contribuisce alla pace e alla sicurezza nel mondo, che si adopera affinché gli effetti positivi della globalizzazione vengano più equamente distribuiti, che le Nazioni Unite acquistino in importanza e che i conflitti possano essere risolti in modo pacifico.
La Germania tra 25 anni deve essere un Paese aperto, curioso, tollerante e interessante. Un Paese con una forte identità supportata dalla nostra costituzione e dal suo ordine costituzionale. La dignità di ogni singola persona è intangibile. Questo principio è radicato profondamente nella visione cristiana dell’essere umano. Deve essere una Germania dove vigono le pari opportunità per donna e uomo, dove non è ammessa qualsivoglia forma di antisemitismo, di xenofobia e di discriminazione degli omosessuali.
La Germania è una democrazia parlamentare rappresentativa, con una netta divisione tra stato e chiesa, dove vige la libertà religiosa, la libertà di espressione e la libertà dei media, e dove la sicurezza di Israele è parte della ragione di stato tedesca.
Detto in modo chiaro e inequivocabile: le nostre leggi sono superiori a qualsiasi codice d’onore, regola tribale o familiare.
I nostri valori e le nostre tradizioni ci hanno guidato negli ultimi 66 anni. Guideranno anche la Germania del futuro. Chi fugge da guerre e persecuzione e arriva da noi, troverà protezione. Chi ha trovato da noi protezione deve rispettare le nostre leggi, le nostre tradizioni e deve imparare, per comprenderci, la nostra lingua.
Tutto questo è integrazione, cioè l’esatto opposto di ‘multikulti’. Il ‘multikulti’ genera società parallele e per questo non è altro che inganno.
L’esatto opposto è l’integrazione che richiede un atteggiamento aperto da parte nostra. Ma richiede al tempo stesso da parte di chi arriva la disponibilità a rispettare i nostri valori e le nostre tradizioni.
Se facciamo l’errore del passato – allora parlavamo di ‘Gastarbeiter’ anziché di persone – non riusciremo nel compito dell’integrazione. Ma sarebbe un danno per la Germania del futuro. Per questo procediamo diversamente. Noi impareremo dagli errori. Perché un Paese trae vantaggio da una integrazione riuscita.
Tutto questo è la Germania del futuro, il nostro Paese tra 25 anni. Sono convinta che ce la possiamo fare se porremo sin da subito correttamente le basi. Chissà forse ci può aiutare anche uno sguardo ai passati 25 anni.
25 anni fa abbiamo vissuto il grande momento dell’unificazione. Poi ci siamo resi conto quanto fosse faticosa la via. E ripetutamente ci siamo chiesti: ma ce la faremo a ricostruire l’Est? Allora c’erano ancora migliaia di persone che lavoravano nelle miniere di carbone. L’energia nucleare veniva criticata da una parte della società, ma era allo stesso tempo fondamentale per le nostre necessità energetiche. Allora c’erano le prime avvisaglie di un’accelerazione della globalizzazione, ma non se ne distinguevano ancora i contorni.
20 anni fa, il nostro Paese viveva una profonda crisi: la disoccupazione era alta, lo scoramento serpeggiava tra la società e si dibatteva molto – e lo facevamo anche noi, allora sui banchi dell’opposizione – sulle prime riforme. Penso alla riforma pensionistica, revocata quando il governo di coalizione rosso-verde arrivò al potere.
25 anni fa sembrava che anche le previsioni peggiori dovessero essere confermate, anzi superate dai fatti. In Asia si facevano largo nuove aree di sviluppo. Da noi c’erano invece evidenti segni di stanchezza, la disoccupazione continuava a crescere, la pressione sullo stato sociale aumentava. Il tutto accompagnato da dibattiti e discussioni fiume su riforme sociali ed economiche. Ma per lungo tempo si parlava senza farle, queste riforme. Nel governo di coalizione rosso-verde molti sognavano una società completamente diversa. Allora c’era una CDU alla quale più di un commentatore profetizzava che mai sarebbe uscita dallo scandalo dei finanziamenti occulti del partito, che avrebbe perso il suo status di grande partito popolare.
Anche dieci anni fa la situazione non era ancora mutata veramente al bello. C’era un’Europa profondamente divisa a causa della guerra in Iraq. Per la prima volta il numero di disoccupati in Germania toccava i 5 milioni. E la società appariva profondamente insicura. Si parlava di “German Angst” del “grande malato d’Europa”. Così stavano le cose fino a 10 anni fa.
Se allora ci fossimo fatti abbattere, avessimo perso il coraggio, allora sì che la Germania oggi sarebbe un Paese completamente diverso. Un Paese senza crescita economica, senza prospettive, ma con enormi problemi sociali, un Paese con un’integrazione fallita. Noi invece ci siamo rimboccati le maniche e, passo dopo passo, abbiamo fatto sì che la situazione volgesse al positivo. Compresa la battaglia contro la crisi dei mercati finanziari, la crisi internazionale dell’euro. E l’abbiamo fatto ricorrendo a strumenti tutt’altro che convenzionali, strumenti che solo pochi anni prima sarebbero stati definiti assurdi: con prestiti miliardari e programmi di salvataggio dell’euro.
Tutto questo dimostra che in Germania c’è sempre stato chi si è opposto ai disfattisti, a chi si voleva arrendere. Che c’è sempre stato chi si è rimboccato le maniche, che ha investito e che ci sono stati imprenditori che sono rimasti qui, non hanno spostato le loro fabbriche all’estero e non hanno trasferito i capitali su conti stranieri. A tutti loro va detto un grazie di cuore.
Abbiamo dimostrato che forza alberga in noi, e con la stessa forza possiamo anche venire a capo della globalizzazione. La Germania è oggi di nuovo un Paese stimato e ammirato nel mondo, e noi sappiamo di che cosa siamo capaci se ci mostriamo forti.
L’economia cresce, abbiamo il tasso di disoccupazione più basso dell’Unione europea, abbiamo il tasso di disoccupazione giovanile più basso, i salari reali aumentano, i lavori a tempo determinato stanno diminuendo e, grazie a Wolfgang Schäuble, abbiamo potuto stilare un bilancio dello Stato per l’anno prossimo che per la terza volta di seguito non prevede un nuovi indebitamenti. Il che vuol dire che non graviamo sulle generazioni future.
Certo, oggi siamo così forti perché la nostra fiducia e il nostro ottimismo sono sempre andati di pari passo con la consapevolezza dei rischi e dei pericoli. Non siamo degli ingenui, ma al tempo stesso non permettiamo che la paura e il pessimismo ci impediscano di agire con successo.
Mai come oggi si è vista così poca indifferenza in questo Paese e così tanta voglia di dare una mano, di fare quel che si può. E questo impegno civile è la migliore e più convincente risposta a coloro che, animati dall’odio e dall’avversione verso gli stranieri, provano a sobillare la società. Il nostro impegno civile dimostra che non hanno alcuna chance di riuscirci nel nostro Paese.
Negli ultimi 25 anni, cioè dall’unificazione in poi, la Germania è cambiata molto più velocemente e radicalmente di quanto molti avrebbero pensato possibile.
Eppure resta sempre il nostro Paese. La nostra identità, la nostra lingua, la nostra cultura sono le stesse. Non si sono indebolite, anzi si sono rafforzate. Anche negli anni a venire assisteremo a cambiamenti interni ed esterni, cambiamenti rapidi, e questo a prescindere che lo vogliamo o meno. Nei prossimi 25 anni ci saranno – esattamente come ci sono stati nei passati 25 anni – invenzioni, sviluppi che oggi possiamo al massimo intuire.
Quello che però so, è che vorrei che la Germania tra 25 anni fosse ancora la mia Germania, la nostra Germania, una Germania che ha mantenuto tutti i suoi lati gradevoli, i suoi punti di forza e che li ha tramandati alle future generazioni. Un Paese con una importante tradizione culturale, aperto e dalle tante sfaccettature, inconfondibilmente Germania nella sua essenza, la Germania più bella e migliore che abbiamo. E perché ciò avvenga c’è bisogno della CDU e della CSU. (…)
Albert Einstein diceva:
“La vita è come una bicicletta. Bisogna muoversi in avanti per non perdere l’equilibrio”.
E non è solo la fisica che alberga in me a dargli ragione. Anche la mia esperienza di vita mi fa essere d’accordo con lui.
Dobbiamo restare sempre in movimento, andare avanti. Solo così possiamo trovare il giusto equilibrio, la misura, il centro, l’orientamento, la sicurezza a tutti i livelli (…)
Noi siamo il partito popolare di centro, e così agiamo, affinché ci sia concesso di vivere anche domani in una Germania che protegge la libertà del singolo e la sua dignità; affinché ci sia concesso di vivere anche domani in una Germania dove regnano la pace e la sicurezza; affinché ci sia concesso di vivere anche domani in una Germania che sia la patria di persone e non importa quanto diverse tra loro; affinché ci sia concesso di vivere anche domani in Germania capace di assumersi all’interno di un’Europa forte le proprie responsabilità per un futuro positivo del nostro continente. Perché siamo consapevoli che: il futuro della Germania sarà positivo solo se sarà positivo il futuro dell’Europa.
Mettiamoci dunque tutti insieme al lavoro per costruire questo futuro. La Germania è un Paese forte. E noi ce la possiamo fare, per la Germania e per l’Europa. E mi impegno a dare tutta me stessa per andare in questa direzione, per andarci insieme a voi. Vi prego dunque del vostro sostegno. Grazie di cuore.
(Parte 2/2 – Traduzione di Andrea Affaticati)
La prima parte del discorso della cancelliera tedesca Angela Merkel si può leggere qui