Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori, pubblichiamo l’articolo di Tino Oldani uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi
Vladimir Putin ha accusato apertamente il presidente turco Recep Erdogan di avere abbattuto l’aereo da guerra russo per «garantire la sicurezza delle vie di fornitura illegale del petrolio verso il territorio turco». Erdogan ha replicato di essere pronto a dimettersi se ciò fosse provato, ma quasi nessuno è disposto a dargli credito. Ogni giorno, sui giornali di mezzo mondo e su decine di siti, saltano fuori informazioni sempre più dettagliate sul coinvolgimento del presidente turco e di suo figlio Bilal nel contrabbando internazionale del petrolio messo a loro disposizione dai terroristi dell’Isis. Si tratta del petrolio estratto dai pozzi vicino a Mosul, nel nord dell’Iraq, un ricco bacino petrolifero caduto da circa un anno nelle mani nel tagliagole del Califfato. Secondo un politico turco, Mowaffak Baqer al-Rubale, esponente di spicco dell’opposizione a Erdogan, questo petrolio viene venduto di contrabbando dalla Turchia a 20 dollari al barile, con un guadagno di dieci milioni di dollari a settimana. In otto mesi, il bottino sarebbe stato pari a 800 milioni di dollari, di cui una buona parte è finita nelle casse del Califfato.
Il petrolio di Mosul, secondo gli analisti, è diventato la prima fonte di entrate dell’Isis. Un business in cui Bilal Erdogan, figlio del presidente turco, svolge un ruolo decisivo. Titolare di un’impresa di trasporti marittimi, la MNZ Ltd, Bilal ha firmato contratti con aziende europee che trasportano il greggio iracheno verso i Paesi asiatici, Giappone in testa. Le banchine di carico si trovano nei porti di Beirut e di Ceyhan, dove arrivano i camion cisterna con il petrolio di Mosul, acquistato in prima battuta dal governo turco, che si serve del figlio di Erdogan come intermediario. Un parlamentare turco, Gursel Tekin, vicepresidente del partito repubblicano della gente (Chp), rivale di Erdogan, ha dichiarato in un’intervista che «facendo appello alle convenzioni internazionali sui trasporti, il presidente Erdogan sostiene che lui e suo figlio non commettono attività illecite, trasportando petrolio con l’aiuto di società giapponesi in regola. Ma la verità è che Bilal Erdogan è invischiato fino al collo con il terrorismo, ma ha l’immunità garantita finché suo padre è al potere».
Mostrando una dose di coraggio non comune, vista la brutta fine che di solito fanno gli oppositori in Turchia, Tekim ha aggiunto che la MBZ Ltd, l’impresa con cui Bilal stringe gli accordi con l’Isis, «è un business di famiglia, e che i parenti di Erdogan detengono azioni del gruppo”. Inoltre, a suo dire, questa società sarebbe finanziata con soldi pubblici, oltre a ricevere fondi illeciti da alcune banche turche. Insieme a Bilal, anche la figlia di Erdogan, Sumeyye, sarebbe partecipe dei business legati al terrorismo, attraverso un centro medico da lei gestito, che si trova in prossimità del confine con la Siria: qui i camion dell’esercito turco farebbero la spola ogni giorno oltre il confine siriano per soccorrere i militanti Isis feriti in combattimento, ricoverarli in Turchia, per poi rispedirli a fare il Jihad, la guerra santa.
Vi è poi il capitolo relativo alla fornitura di armi ai terroristi, venuto alla luce in modo paradossale. Due generali e un colonnello, che avevano ordinato di fermare un convoglio di aiuti umanitari verso la Siria per un’ispezione di routine, sono stati incriminati per tradimento: la loro colpa è di avere scoperto che il convoglio, organizzato dal servizio segreto turco (Mit), sotto la copertura degli aiuti umanitari, trasportava in realtà armi e rifornimenti per i terroristi dell’Isis. E il caporedattore di Cumhuriyet (la Repubblica), giornale che ha osato dare la notizia, è stato imprigionato con l’accusa di spionaggio e tradimento.
Oltre a fornire armi all’Isis, i servizi segreti turchi addestrano anche le reclute del Califfato in alcuni campi segreti della provincia di Konya, inviandole poi in Siria. Secondo l’analista francese di geopolitica, Thierry Meyssan, Erdogan finanzia e arma l’Isis non solo perché coltiva un sogno di grandeur, volto a restaurare una sorta di Impero Ottomano, ma anche per ragioni più terra terra, degne di un rapinatore criminale: «Ha organizzato la devastazione della Siria, smantellando tutte le fabbriche di Aleppo, capitale economica del Paese, e ne ha rubato i macchinari. Inoltre ha organizzato il furto di tesori archeologici e costituito un mercato internazionale ad Antiochia». Dettaglio che è bene non dimenticare quando si vedono in tv i tagliagole dell’Isis che depredano i siti archeologici ed i musei.
Di fronte a queste barbarie criminali, lascia di stucco il fatto che Angela Merkel si sia recata in Turchia alla vigilia delle ultime elezioni per incontrare Erdogan, offrendogli un supporto di credibilità del tutto immeritato. Così come stupisce che l’Unione europea, a trazione tedesca, abbia deciso di dare tre miliardi di euro a Erdogan perché trattenga in Turchia il flusso dei migranti, in cambio di un’apertura sull’adesione turca all’Ue. Un patto privo di garanzie e di dignità, tanto è vero che c’è già chi teme che parte dei soldi dell’Ue ai turchi finiranno in realtà in aiuti all’Isis.