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Quella “Favola di Natale” anche nel lager

Ieri a Busseto, in provincia di Parma, è tornata in scena la Favola di Natale, celebre racconto scritto da Giovanni Guareschi (1908-1968), giornalista e romanziere cattolico, inventore dei celebri personaggi della “Bassa emiliana” Peppone e Don Camillo. L’opera è nata durante la prigionia dello scrittore emiliano nel campo di Sandbostel e, la sua prima trasposizione teatrale, avvenne proprio nel lager tedesco, con i compagni di prigionia come pubblico, nel dicembre del 1944. «Erano – spiega Giovanni Lugaresi, presidente onorario dell’associazione che diffonde ancora oggi l’opera di Guareschi, il “Club dei Ventitré” – pochi fogli. Un gioiellino di poco respiro, ma delicato e toccante» (cit. in Guareschi e la fiaba scritta nel lager, in L’Osservatore Romano, 23 dicembre 2015, p. 5).

IL CAST TEATRALE

Ideato come spettacolo in memoria di Carlotta Guareschi (1943-2015), la figlia del grande scrittore morta lo scorso 25 ottobre a Roncole Verdi, piccola frazione in provincia di Parma, lo spettacolo “La Favola di Natale”, patrocinato dal Comune di Busseto, è stato organizzato domenica pomeriggio al teatro Giuseppe Verdi di Busseto. Di tutto valore il cast teatrale protagonista, con Giustina Testa (voce recitante) e Alessandra Ugoni (voce solista), accompagnate dalle suggestive musiche composte da Arturo Coppola e interpretate da Andrea Costamagna alla fisarmonica. Il tutto con la coreografia di fotografie e disegni concessi dalla Mostra antologica permanente dedicata allo scrittore emiliano di Roncole Verdi.

LA TESTIMONIANZA CRISTIANA NEL LAGER

«Mio padre – spiega Alberto Guareschi – nel lager si era accorto che il suo compito non era solo quello di divertire ma anche di farsi carico dei problemi degli altri. E così, con un colloquio immaginario con sé stesso, col Giovannino magro, con gli occhi spiritati, stracciato ma pieno di sogni, dice: “Questi poveretti hanno una grande nostalgia di casa: perché non cerchi di rasserenarli scrivendo una favola di Natale”». La testimonianza del figlio di Giovannino Guareschi è stata raccolta da Nazareno Giusti, in un articolo uscito su Avvenire del 19 dicembre scorso dedicato a un’opera «le cui muse ispiratrici furono la fame, il freddo e la nostalgia».

Pochi forse ricordano come Guareschi, sottotenente durante la seconda guerra mondiale, si rifiutò dopo l’8 settembre 1943 di collaborare con la Germania hitleriana, andando ad ingrandire la schiera dei militari dell’ex Regio Esercito Italiano rinchiusi nei campi tedeschi degli “Internati Militari Italiani” (IMI).

“La Favola di Natale”, scritta da Guareschi nel dicembre del 1944 durante il periodo di prigionia in Germania, rappresenta «una storia struggente in cui Giovannino lasciava in sogno i reticolati per incontrare in un bosco sua mamma e suo figlio. Quel bosco, popolato di creature buone, era il luogo della resistenza al male, un piccolo mondo in cui gli omacci sferraglianti e i loro regolamenti non avevano potere» (Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, Il Presepe che Guareschi costruì nel lager durante la seconda guerra mondiale, in Vita Nuova, 24 dicembre 2010, p. 10).

«E SE NON V’E’ PIACIUTA, NON VOGLIATEMI MALE»!

Al termine della Favola di Natale, quel mondo incantato sembrava dissolversi, ma la speranza lo riprendeva per un ciuffo e dettava queste parole:

«E se non v’è piaciuta/ non vogliatemi male:/
ve ne dirò una meglio/ il prossimo Natale,/
e che sarà una favola/ senza malinconia;

C’era una volta la prigionia…».

Rappresentata dietro i reticolati nel 1944, l’anno successivo, la Favola di Natale venne pubblicata e messa in scena all’Angelicum di Milano per gli ex internati e le loro famiglie. Ci voleva uno come Guareschi per farlo, «uno capace di prendere un comunista come Peppone e metterlo seduto in canonica a pitturare il Bambinello del presepe. Solo lui poteva raccontare un mangiapreti seduto davanti al parroco a ripassare il volto del Figlio di Dio, un fabbro rosso come il fuoco intento a lavorare di fino per dare sembianze umane al Verbo increato. In altre parole, la storia di una creatura incamminata sulle tracce di Maria» (A. Gnocchi-M. Palmaro, Il Presepe che Guareschi costruì nel lager durante la seconda guerra mondiale, art. cit.).

Rinchiuso nel lager, Guareschi aveva intuito con chiarezza la vera trama della vicenda umana: un grande paradosso che, a fronte di tanti uomini che vogliono farsi “padri di Dio”, mette in scena un Dio che si fa “Figlio dell’uomo”. Non era facile, ma Guareschi, grazie a Dio, era un umorista.

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