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I redditi degli italiani si capiscono meglio guardando l’anagrafe

Se le statistiche servono a capire meglio le nostre società è vero pure che nascondono molto più di quello che dicono. E non per reticenza, ché anzi i nostri tecnici del dato sono fin troppo loquaci. No: il problema è che le statistiche sono costruite per vedere una cosa alla volta e solo di rado riesce loro il miracolo di fotografare la realtà che il dato cela, a cominciare da quella presupposta nelle sue definizioni che, come abbiamo visto, sono il cuore del significato del dato e ciò malgrado vengono usualmente neglette.

Perciò leggere l’ultima release su reddito e condizioni di vita nel nostro Paese è una lettura defatigante, ma estremamente istruttiva. A patto però di incrociarla con un’altra statistica: quella sulla popolazione. Leggere i dati sul reddito senza tenere conto della struttura demografica, infatti, rischia di rendere l’esercizio poco significativo. Conta poco conoscere il reddito medio se non si tiene conto della distribuzione di questo reddito fra le diverse classi di età e poi se si ignora il peso specifico delle varie classi d’età sul totale della popolazione.

Perciò dobbiamo sorbici una doppia statistica per provare a capire meglio come è fatto, e di conseguenza come funziona, il nostro paese.

I dati sulla composizione della popolazione li ho presi dal dabase Istat, e sono aggiornati al 2015. Il totale della popolazione residente è di 60 milioni 795 mila 612 persone. Di queste, il 21,7%, quindi oltre 13 milioni, ha 65 anni o più. I più giovani, quindi da 0 a 18 anni, sono circa 11 milioni, per un peso percentuale del 19,4%. Quindi il 41,1% è fuori dal mercato del lavoro, se non formalmente, sostanzialmente.

La fascia più corposa, i 19-64enni, compone perciò il 58,9% della popolazione che coincide grossomodo con la popolazione attiva. Un sottoinsieme importante di questa popolazione è quella fra i 55 e i 64 anni, ancora formalmente attivi ma ormai vicini alla pensione, che pesa il 12,5% di tutta la popolazione, contando circa 7,6 milioni di persone.

Detto ciò, andiamo a vedere le tabelle sul reddito che Istat mette a disposizione. Ma prima serve un’ulteriore approfondimento circa le voci che costruiscono il reddito. Nella definizione di reddito familiare si includono i redditi da lavoro dipendente e autonomo, quelli derivanti da capitale reale e finanziario, da pensioni e trasferimenti. Nel reddito da lavoro dipendente vengono inclusi anche il valore figurativo dell’auto aziendale concessa per uso privato, i buoni pasto e gli altri fringe benefit non monetari. Inoltre sono inclusi anche i beni prodotti dalla famiglia per autoconsumo.

Altra specifica importante è quella relativa agli affitti figurativi o imputati. Questa, spiega Istat, “è una componente non-monetaria del reddito delle famiglie che vivono in case di loro proprietà, in usufrutto, in uso gratuito o in affitto agevolato (cioè inferiore ai prezzi di mercato) e rappresenta il costo (aggiuntivo nel caso degli affitti agevolati) che queste dovrebbero sostenere per prendere in affitto, ai prezzi vigenti sul mercato immobiliare, un’unità abitativa con caratteristiche identiche a quella in cui vivono (al netto delle spese di condominio, riscaldamento, accessorie e con riferimento a una casa non ammobiliata)”. Poiché in Italia non si pagano imposte su tali redditi figurativi, essi a seconda se si inseriscano o no nel computo, figurano come reddito netto. E’ quindi evidente che i proprietari di casa godono di un vantaggio di reddito rispetto agli inquilini.

Tutto ciò ci aiuterà a capire meglio la tabella preparata da Istat. La prima cosa che salta all’occhio è che il reddito medio della classe di età inferiore ai 35 anni è inferiore a quello degli ultra 65enni. Ciò significa che la parte relativamente più numerosa della società (se sottraiamo gli under 18) ha un reddito superiore dei più giovani a fronte di una propensione al consumo sicuramente più bassa, essendo l’anziano notoriamente più frugale del giovane.

La classe dei 55-64enni, che è quella con un reddito medio più elevato, e quindi una maggiore possibilità di consumo, pesa, lo abbiamo visto, il 12,5% della popolazione. La classe centrale, quella fra i 19 e i 54enni, pesa per il 46,4% della popolazione e ha un reddito medio che oscilla fra i 35 e i 38 mila euro, quindi circa il 20% in più rispetto agli ultra 65enni.

Se però alla voce del reddito escludiamo i fitti imputati, la situazione cambia notevolmente. La tabella evidenzia che senza affitti imputati la classe under 35 risulta con un reddito maggiore degli ultra65enni di circa il 10%. Ciò implica che il possesso dell’abitazione, insieme con l’età, è ciò che dà agli anziani il maggiore aiuto reddituale rispetto ai più giovani. E ciò fa capire meglio di ogni altra considerazione perché nel nostro paese tali redditi non siano tassati e anzi si sia pure deciso di detassare il patrimonio eliminando la Tasi, invece che detassare, ad esempio, le imposte di trasferimento, ossia quelle sul bollo e sul registro. Per la cronaca, queste ultime valgono circa 2,6 miliardi per il bilancio dello stato a fronte dei circa 4 miliardi della tassa sulla prima casa.

Riepiloghiamo: i cittadini più anziani, che in larghissima parte sono proprietari di casa, stanno meglio dei più giovani, al lordo degli affitti imputati e poco peggio al netto. Ma è un peggio per modo di dire. I redditi, infatti, sono una misura dei flussi che sono cosa ben diversa dallo stock della ricchezza.

Ma c’è anche un’altra misura dei flussi che mostra come gli ultra65enni stiano meglio dei under 35: la media dei redditi dei ritirati dal lavoro, ossia i pensionati. Questi si collocano a oltre 26.600 euro annui netti, a fronte dei radditi medi per 26.398 degli under 35enni, sempre se li consideriamo al netto dei fitti imputati.

Se invece includiamo i fitti imputati, i ritirati dal lavoro superano di circa il 10% gli under 35 a stanno un circa duemila euro sotto il reddito dei 35-44 enni.

Insomma, l’Italia si conferma un paese per vecchi. D’altronde sono anche la maggioranza relativa.

Twitter: @maitre_a_panZer

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