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Vi ricordate quando la Lega diceva “non siamo i nipotini di Le Pen”?

Nel 2012 l’allora neosegretario leghista Roberto Maroni, in corsa per la conquista della Regione Lombardia, scriveva che “il nostro obiettivo è quello di diventare il primo partito in tutte le regioni del Nord, sul modello della CSU bavarese, condizione indispensabile per costruire una forte Euroregione, costituzionalmente determinata. Si tratta di un progetto rivoluzionario, perché il Nord potrebbe diventare il primo tassello di quell’Europa che abbiamo in mente: l’Europa delle Regioni e dei Popoli. […] Questo assunto ci colloca a grandissima distanza dai partiti e dai movimenti neonazionalisti. Insomma, è ora di finirla con i soliti stereotipi: noi non siamo i nipotini di Le Pen [corsivo mio]” (“Il mio Nord. Il sogno dei nuovi barbari”, con C. Brambilla, Sperling & Kupfer, 2012).

Nel dicembre 2013 l’allora candidato alle primarie della Lega Nord, Matteo Salvini, dialogava con il filosofo normanno Alain de Benoist, leader indiscusso del “Grece” (“Groupement de recherches et d’études pour la civilisation européenne”), il pensatoio della “Nouvelle Droite” fondato a Parigi nel 1968-1969. Al dibattito, intitolato “La fine della sovranità. La dittatura del denaro che toglie potere ai popoli”, e patrocinato dal circolo culturale milanese “Il Talebano”, partecipava l’economista antieuro Marco Della Luna, autore di testi pubblicati dall’Arianna Editrice di Eduardo Zanelli, vicina alla Nuova Destra italiana.

De Benoist, da sempre critico feroce di Jean Marie Le Pen, aveva da poco “sdoganato” la figlia Marine, attribuendole il merito di aver “ripulito” il Front National dalle sue vecchie incrostazioni ideologiche e di aver finalmente “sedotto”, con un programma che si richiamava a un effervescente “comunitarismo solidarista”, le donne, i giovani e gli insegnanti (cfr. Matteo Luca Andriola, “La rivoluzione conservatrice e postmoderna della Nouvelle Droite, l’jnterferenza, maggio 2014). Questa la “corrispondenza di amorosi sensi” (sotto il profilo politico-culturale, beninteso) tra Marine e Matteo.

Oggi per la prima lo scontro non è più tra destra e sinistra, ma tra “mondialisti” e “patrioti”. Lo stesso, in qualche misura, per il secondo. In Francia il Front National è stato ieri stoppato dal Fronte popolare social-repubblicano (pur confermandosi come il partito più votato). Salvini ha fiutato il pericolo a cui potrebbero andare incontro anche le sue chance di costruire un blocco sociale potenzialmente maggioritario in Italia. Ha quindi parlato di “ignobile ammucchiata” per sbarrare il passo a colei che è il vero punto di riferimento – insieme a Vladimir Putin – della sua Lega sovranista e identitaria. Lo capisco. Perché il suo più temibile concorrente, quello più in grado di sottrargli consensi sul terreno delle battaglie classiche del populismo (i piccoli contro i grandi, i deboli contro i forti, gli onesti contro le élite corrotte, il lavoro contro la finanza) non si chiama Pd, ma M5S. Una realtà sconosciuta Oltralpe, che potrebbe guastare i sogni di gloria del Le Pen “de noantri”.


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