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Tarcisio Bertone e Susanna Camusso a “loro insaputa”

L’ex segretario di Stato del Vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone, ha deciso di donare (a rate) centocinquantamila euro alla Fondazione dell’ospedale Bambino Gesù. La somma servirà a finanziare un progetto di ricerca sulle malattie infantili rare. In varie interviste, l’alto prelato ha precisato che la Fondazione aveva coperto le spese di ristrutturazione del suo appartamento ubicato nel romano Palazzo San Carlo “a sua insaputa”. Ci risiamo. Vi siete mai chiesti perché solo nella Capitale questa comica espressione trova una così larga ospitalità? Forse perché Roma è l’unica grande città italiana dove, come ha scritto lo storico tedesco che gli ha dedicato una monumentale monografia, Theodor Mommsen, “non si resta senza un’idea universale”, ma dove tutti vivono perfezionando il loro “particolare”, presi dalla curiosa euforia per i suoi lati falsi e offensivi, pagani e sguaiati.

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I lavoratori del commercio hanno ragioni da vendere. Da due anni il loro contratto collettivo non è stato rinnovato, né si può dire che le loro richieste salariali e normative siano abnormi, pur in una situazione in cui i consumi stentano a decollare. I sindacati di settore hanno quindi deciso di intensificare le azioni di protesta. Tra queste ultime, spicca il “no allo shopping” lanciato da Susanna Camusso in occasione dello sciopero dell’altro ieri. Com’era prevedibile, un flop clamoroso. Infatti, era difficile inventarsi una parola d’ordine più sconclusionata proprio alla vigilia di Natale, quando gli acquisti delle famiglie raggiungono il picco. Scegliere forme di lotta efficaci, inclusive e realistiche è cruciale per il conseguimento di un obiettivo. Questa verità è scolpita nell’abbecedario del movimento sindacale italiano. Quando viene gettata alle ortiche solo per avere qualche titolo sui giornali, qualche leader confederale rischia -anche lui magari “a sua insaputa”- di fare il gioco della controparte.

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Soltanto nell’ultima settimana abbiamo avuto prima la nomina di Marc Benajoun come nuovo amministratore delegato di Edison (di proprietà dei francesi di Edf) e poi di Olivier Jacqueir nominato a capo della filiale italiana di Engie (l’ex Gas de France Suez). Ma prima ancora c’erano state le nomine ai vertici di Parmalat, Loro Piana, Safilo, Lamborghini… Ma la “moda” del manager straniero è pervasiva e colpisce anche le aziende che – ancora – non sono state vendute all’estero e mantengono capitale italiano. Per esempio, ha scelto fuori dall’Italia per ben due volte Leonardo Del Vecchio, sia per Luxottica che per Beni Stabili. O la famiglia Agnelli per la società dei trattori Cnh (tenendo conto che “tecnicamente” Sergio Marchionne sarebbe italo-svizzero-canadese), o i Garavoglia per la Campari”. È il brano di un articolo apparso un paio di giorni fa su Repubblica.it,che prende spunto dalla nomina di Cramer Ball alla guida di Alitalia per denunciare la ” grande invasione dei manager stranieri in Italia”. Merita di essere segnalato perché, a mio avviso, riflette il provincialismo con cui vengono definite una “moda” scelte che dovrebbero essere lette, al contrario, come un positivo segnale di dinamismo e di apertura al mondo almeno di una parte delle imprese italiane. Non è vero, insomma, che tutto il nostro capitalismo familiare è ammalato di un inguaribile immobilismo e conservatorismo.


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