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Turkish stream, ecco la guerra del gas tra Russia e Turchia

idlib

Bill Clinton vinse a suo tempo le presidenziali in America con la frase “It’s the economy, stupid”. Mutatis mutandis, il presidente russo Vladimir Putin potrebbe dire “sono le fonti energetiche a determinare oggi i rapporti di forza”.

Mosca ha deciso di punire la Turchia, per il jet russo abbattuto. E così ha disposto un restringimento delle relazioni commerciali, la riduzione delle imprese turche in Russia e ha vietato voli charter dalla Russia verso le spiagge turche. Da questo pacchetto sembrava inizialmente escluso il gasdotto Turkish Stream, un progetto annunciato a sorpresa un anno fa da Putin stesso in visita ad Ankara. I due Paesi sembravano avviati a stringere relazioni sempre più strette in opposizione all’Ue. E così, sempre in quell’occasione, il presidente russo aveva annunciato anche la fine del progetto South Stream.

L’Ue aveva posto troppi bastoni tra le ruote, e ora che l’amicizia con Ankara pareva rafforzarsi, non aveva certo più bisogno di un approdo europeo (sarebbe stata la Bulgaria) per distribuire il gas russo nell’Ue. Già, ma con l’abbattimento del jet russo e il premier Recep Tayyip Erdogan che si rifiuta di chiedere ufficialmente scusa alla Russia, lo scenario è cambiato. E a Putin i divieti emessi devono essere sembrati troppo poco (“Ankara non pensi di cavarsela solo con il divieto di importare i pomodori da noi”).

E così ora è stata decretata anche la fine del progetto Turkish Stream. Già, ma chi ha preso la decisione? Anche su questo russi e turchi stanno litigando. Mosca ne rivendica la paternità, ma il presidente turco ha smentito. A prendere questa decisione è stata la Turchia, ha affermato Erdogan, e già da tempo, perché Mosca non veniva incontro alle richieste turche. “È vero, la Russia è uno dei nostri più importanti fornitori di energia, ma non l’unico”, scrive citandolo il quotidiano turco in lingua inglese Daily Sabah, aggiungendo che Erdogan pensa già a rapporti più stretti con il Qatar e l’Azerbaijan.

Putin, come ha fatto per gran parte della sua carriera politica, usa le materie prime per dettare le sue condizioni di politica internazionale. Ha usato per anni bastone e carota con l’Ucraina, interrompendo regolarmente in gennaio le forniture che attraversano quel Paese in direzione Europa. La motivazione ufficiale era sempre la stessa: Kiev non pagava o pagava troppo poco la parte di gas che usava per il proprio fabbisogno nazionale mentre intascava lauti profitti dai diritti di transito. Quella ufficiosa, secondo molti analisti, aveva invece a che fare con un braccio di ferro tra Kiev e Mosca e tra Mosca e Bruxelles. Il Cremlino non voleva che gli ucraini si avvicinassero troppo all’Ue e per questo colpiva il Paese lì dove era più vulnerabile.

È vero, rileva la stampa, che anche i russi non erano più tanto convinti di Turkish Stream, tant’è che quest’estate Putin aveva annunciato North Stream 2, che come North Stream 1 deve raggiungere attraverso il Mar Baltico direttamente la costa tedesca. Ciò nonostante Putin tentennava. In fondo, si leggeva ancora qualche giorno fa sul sito della Deutsche Welle – i tedeschi sono particolarmente attenti agli equilibri e ai poteri energetici –, il progetto Turkish Stream poteva fungere ancora per un po’ da spauracchio nei confronti degli ucraini, la cui economia ha disperatamente bisogno di guadagnare almeno dal transito del gas.

Non appena annunciato il progetto di raddoppiare North Stream si è levata di nuovo la protesta dei paesi dell’Est. Ma è con il nuovo governo appena insediatosi a Varsavia che si è passati dalle parole ai fatti, come riporta il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung. Così, a tre settimane dal vertice dei capi di Stato e di governo dell’Ue, Varsavia, di comune accordo con Bratislava, ha inviato a Bruxelles e in copia per conoscenza al presidente del Consiglio europea, il polacco Donald Tusk, una lettera in cui si chiede di bloccare la costruzione della nuova pipeline. Tra i firmatari ci sono anche l’Ungheria, i Paesi Baltici e la Romania.

La Polonia questa volta evita di fare paragoni incendiari come ai tempi fece Radek Sikorski. L’allora ministro della Difesa paragonò la joint venture russo-tedesca al patto Molotov Ribbentrop. Ma Varsavia torna ad accusare Berlino di curare esclusivamente i propri interessi e così facendo contravviene tra l’altro al comune obiettivo europeo di affrancare il bisogno energetico, il più possibile, dalla dipendenza russa.

La Germania – sempre secondo i paesi dell’Est – mostra inoltre una notevole miopia rispetto alle conseguenze del suo agire. Conseguenze politiche ed economiche che colpiscono direttamente Kiev. Perché questo nuovo progetto indebolisce ulteriormente l’Ucraina, che nonostante il conflitto al suo interno, resta il Paese di transito più importante per il rifornimento di gas dell’Europa occidentale. Se sempre più gas prende un’altra rotta, il potere di contrattazione di Kiev con Mosca diminuirà ulteriormente.

Non va poi dimenticato che la situazione economica già disastrata del Paese verrà ulteriormente colpita dalla perdita dei diritti di transito. Già con il primo gasdotto North Stream, l’Ucraina ha già perso 2 miliardi di euro. Come scrive sempre la FAZ, a queste critiche Berlino ha sempre ribattuto che North Stream è un’impresa privata, decisioni e gestione spettano dunque esclusivamente ai partner russi ed europei che la guidano. Anche Maroš Šefčovič, vice presidente della Commissione Ue, condivide la posizione tedesca avanzando però dubbi riguardo alla necessità di questo raddoppio, visto che North Stream 1 non è ancora al massimo delle sue potenzialità.

Ma a prescindere da questi dubbi, non è nei poteri dell’Ue impedire la costruzione del gasdotto. L’unico strumento che Bruxelles potrebbe mettere in campo è quello di controllare più severamente che le regole del mercato comune Ue siano rispettate. Tra cui per esempio quella che non ammette un unico gestore della pipeline e della materia prima. Una normativa che è da sempre una spina nel fianco per Putin. Il capo del Cremlino sa però anche che l’Ue in questo momento ha problemi ben più urgenti, e che durante il vertice in programma a metà dicembre, North Stream 2 non sarà certo al centro del dibattito.


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