Se Matteo Renzi fosse Li Keqiang certamente avrebbe già messo in evidenza la gufaggine nei confronti della Cina. I grandi media internazionali, i maggiori esperti finanziari mondiali da giorni non fanno altro che raccontarci la grande crisi cinese, lanciano allarmi, esprimono preoccupazioni. Son tanto preoccupati che in alcuni casi viene da sospettare che non sarebbero troppo dispiaciuti se queste loro preoccupazioni diventassero realtà.
È quanto notava Chen Weihua, vice direttore di China Daily USA, in un articolo sull’atteggiamento di molti opinion leader statunitensi nei confronti della Cina e dei problemi dei mercati finanziari cinesi. Desiderano che la Cina sia malata, scriveva e però ricordava un pensiero di Larry Summers (Segretario al Tesoro con George Bush, grande amico della Cina), secondo il quale “è possibile immaginare che nel XXI secolo la Cina e gli Stati Uniti stiano tutti e due in buona salute, oppure che incontrino tutti e due difficoltà ma è quasi impossibile immaginare che uno dei due paesi stia bene e l’altro no”.
La situazione cinese ha tanti piani di lettura diversi, però prima di provare ad entrare nel merito conviene dire che la vecchia battuta di Summers non vale solo per gli Stati Uniti ma anche per tutti noi ed allora bisognerà cercare di non essere superficiali nell’analizzare una realtà complessa come quella cinese. Diciamo subito che la Cina è, ancora una volta, in una fase di transizione.
La presidenza di Xi Jinping è molto diversa da quella di Hu Jintao o da quella di Jiang Zemin. È una presidenza molto forte, che ha individuato nel recupero del potere da parte del governo centrale e del partito uno dei suoi obiettivi principali.
Fin dall’epoca di Jiang Zemin infatti, i Governatori delle Province, i Sindaci delle quattro Municipalità Metropolitane (Pechino, Shanghai, Tianjin e Chongqing) ed i leader delle grandi aziende di Stato, a partire dalle aziende petrolifere, avevano, chi più chi meno, allentato i rapporti di subordinazione con la Presidenza/Segreteria del Partito.
Il caso più clamoroso avvenne proprio pochi mesi prima della nomina di Xi a Segretario del Partito (Novembre 2012) allorché Bo Xilai venne rimosso dall’incarico di segretario del Partito di Chongqing (Marzo 2012, venne poi condannato l’anno successivo) dopo aver lanciato in contrapposizione al Governo Centrale ed al Partito una campagna Neo-Maoista.
Lo strumento principale usato da Xi Jinping per recuperare la situazione fu il lancio di una forte azione contro la corruzione. Così con il sostegno Wang Qishan, Segretario della Commissione Centrale di Disciplina del Partito ha decapitato tutte le maggiori Società di Stato Cinesi, potendo così nominare persone di sua fiducia praticamente in tutte le posizioni più importanti dell’economia ed industria cinesi.
La stessa cosa sta succedendo nell’amministrazione dello Stato e del Partito. Non solo nel nuovo Piano Quinquennale viene attribuita una responsabilità diretta, personale degli amministratori per i danni all’ambiente, anche se non legati a problemi di corruzione.
In questo modo non solo è stato ristabilito il pieno controllo su tutte la strutture dello Stato, del Partito, dell’economia e dell’industria, ma contemporaneamente si sta rinnovando tutto, come ben sanno coloro che hanno attività in Cina e che vedono continuamente cambiare i loro interlocutori. Sarà un processo complesso con resistenze e rallentamenti, ma credo che ormai la partita sia decisa e che la vittoria di Xi sia totale.
La mia convinzione è che questo processo stia rafforzando la Cina, anche se nell’immediato sta producendo molti inconvenienti, come ad esempio la cattiva gestione delle difficoltà dei mercati finanziari e della svalutazione del renminbi, fino all’uso improvvido di strumenti importati (senza adeguato know how) dalla Borsa di New York come il Circuit Breaker che a Shanghai ha solo spaventato gli investitori ed ulteriormente depresso il mercato. Ci sarà ancora un po’ di turbolenza, ma, alla fine, non credo che sarà la China il problema del 2016.