“Bisogna discutere dei fondamenti della nostra coesistenza civile e culturale”, ha detto ieri una Kanzlerin evidentemente provata. “Quanto è successo a Colonia – ha aggiunto – solleva pressanti domande”. Dopo un iniziale silenzio su quanto accaduto la notte di Capodanno (centinaia di persone, in maggioranza donne, molestate, intimidite, borseggiate da uomini di provenienza nordafricana/araba (solo a Colonia 120), secondo le dichiarazioni delle vittime), la Germania e non solo – nel frattempo si sa di denunce per atti simili a Zurigo, Helsinki e Salisburgo – si chiede cosa sta succedendo, se il primo frutto della politica di accoglienza, elevata quasi a ragion di Stato da Angela Merkel, sono i fatti deprecabili della notte del 31 dicembre.
Ieri pomeriggio il capo della polizia tedesca, Wolfgang Anders, ha lasciato il suo posto, più precisamente è stato sospeso dal servizio, nonostante avesse ripetuto di non sentirsi in alcun modo responsabile. Evidentemente il tentativo della polizia tedesca di minimizzare l’ondata di molestie e violenze a Colonia, evento replicato anche ad Amburgo e Stoccarda, da parte di uomini di aspetto “arabo e nordafricano”, è fallito.
Il sito online del quotidiano Die Welt citava giovedì interviste con funzionari di polizia di Colonia dalle quali risulta che tra i fermati ci sono anche molti stranieri con il documento identificativo rilasciato ai profughi. Dichiarazioni che vengono confermate dai dati dei fermati fino ad ora: in tutto 31 persone, due tedeschi, 29 stranieri, di cui 18 richiedenti asilo. Persone per niente intimorite davanti alle forze dell’ordine. “Tanto non potete farci niente, io questo documento lo strappo e me ne emettono un altro”, avrebbero detto alcuni dei fermati. Inoltre, secondo le ultime notizie, gli inquirenti avrebbero trovato alcuni cellulari rubati, proprio nei centri di accoglienza dei profughi di Colonia. È stato un brutto inizio d’anno per i tedeschi e, come scrive il quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung, “il primo vero stress test della politica di accoglienza”.
In effetti, dopo lo sforzo collettivo degli ultimi mesi che ha visto la società civile tedesca rispondere con straordinaria solidarietà all’arrivo di un milione di profughi, solo ora anche quelli animati dai migliori propositi iniziano a chiedersi cosa possa voler dire per il futuro aver accolto un gruppo così grande di persone traumatizzate, in fuga dalla guerra e dalla morte, ma anche con un background culturale e religioso completamente diverso da quello tedesco.
A inizio dicembre, Merkel nel suo discorso al Congresso della Cdu aveva detto: “Alla luce del numero di persone provenienti da altre culture, ci chiediamo giustamente se resteremo la Germania che siamo, che conosciamo: un Paese forte e che ci ha reso forti. Guardando ai tanti profughi che arrivano da noi e in Europa Wolfgang Schäuble ha parlato qualche tempo fa di un ‘rendezvous con la globalizzazione’”. Un appuntamento che Merkel, pur non nascondendo le difficoltà, aveva voluto disegnare come una sfida, la quale nei tempi dovuti, si sarebbe svelta una grande opportunità per un paese che soffre come molti altri di una crescita demografica negativa.
Ma i fatti di Capodanno tracciano al momento uno scenario futuro che nessun tedesco è disposto ad accettare. Lo scontro, non solo politico, rischia di farsi. E già questa primavera potrebbe essere presentato un conto che ai partiti non piacerà affatto pagare. A marzo i Länder Sachsen-Anhalt, Baden-Württemberg e Rheinland-Pfalz andranno al voto. E l’AfD, più populista e decisamente contraria alla politica di Merkel, potrebbe fare un importante balzo in avanti. Certo, grazie alla Kanzlerin. “È vero, la politica di accoglienza di Merkel ci sta facendo guadagnare giorno dopo giorno voti, ma non è mica colpa nostra”, ha recentemente commentato Alexander Gauland, ex Cdu e oggi uno dei leader dell’AfD. Stando ai sondaggi questo partito potrebbe superare in tutti e tre i Länder la soglia di sbarramento del 5%. La Cdu si mostra preoccupata, ma come scrive il quotidiano economico Handelsblatt “l’ingresso dell’AfD nei parlamenti regionali potrebbe invece rivelarsi un vantaggio per la Cdu”. Si verrebbero, infatti, a creare nuove possibilità di coalizioni (non solo con i Verdi o l’Spd) e questo permetterebbe – nolens volens – di aggiustare per esempio il tiro sulla politica di accoglienza senza perdere troppo la faccia.
Intanto però i tedeschi assistono a una battaglia di denigrazioni, decisamente nuova per loro. Il ministro degli Interni Thomas de Maizière accusa le forze dell’ordine di Colonia di aver sottovalutato la situazione. Gli risponde il capo del sindacato della polizia, rigettando queste accuse e sottolineando che molti poliziotti sono nel frattempo di stanza ai posti di accoglienza in Baviera.
Secondo uno dei politici di spicco della Cdu Wolfgang Bosbach, da sempre critico verso la politica di accoglienza, a Colonia i veri responsabili non sono stati i profughi, o per lo meno l’iniziativa degli assedi di massa non è partita da loro, ma della criminalità organizzata che ha orchestrato il tutto. Non va poi dimenticato che proprio a Colonia l’anno scorso c’è stato un grande raduno hooligans che a loro volta avevano messo a ferro e fuoco il centro, senza che le forze dell’ordine riuscissero a fermarli. Ma non sono solo i fatti della notte del 31 dicembre che preoccupano i tedeschi.
Anche il comportamento dei media ha scioccato l’opinione pubblica. Solo quattro giorni dopo, il 5 gennaio i giornali e le televisioni iniziavano a occuparsi della notte di capodanno a Colonia e ad Amburgo. Prima e nonostante i social network avessero già iniziato a rendere conto dei fatti, nulla. E ora i media fanno autocoscienza. La Süddeutsche Zeitung ricostruisce oggi i fatti o meglio il modo in cui sono raccontati, centellinati all’opinione pubblica: “Il primo dell’anno alle 8:57 il mondo a Colonia era ancora intatto. Le forze dell’ordine della città comunicavano riguardo alla notte precedente. A parte qualche eccesso e intemperanza i festeggiamenti sono stati nell’insieme pacifici… Non ci sono stati scontri – anche grazie al fatto che la polizia era presente e posizionata in luoghi nevralgici”. Eppure, scrive la SDZ sui social media, le notizie cominciavano a circolare, per quanto ancora molto a livello locale. Il perché di questo iniziale silenzio, prova a spiegare la SDZ, di fatto il primo quotidiano nazionale a occuparsi poi degli assalti in massa, può essere stato determinato anche dall’allarme attentato a Monaco. Anche l’agenzia stampa Dpa ha cominciato a dare notizie della notte di Colonia solo il pomeriggio del 2 gennaio “in tutto 21 righe, riprese inizialmente solo dai quotidiani regionali”.
Un altro motivo va ricercato nella paura di gettare ulteriore fuoco su una situazione che dall’autunno vede formarsi anche in Germania una frattura sempre più profonda tra la società, tra chi reputa l’accoglienza un dovere civile e chi invece lo vive come minaccia al proprio paese. Un eccesso di autocensura ha guidato in particolare la rete pubblica Zdf che nel notiziario di lunedì 4 gennaio non riportava ancora nulla al riguardo. Per questa “dimenticanza” si è scusato poi pubblicamente il direttore Elmar Theveßen. Anche sul sito online del settimanale Die Zeit ci si chiede il perché di tanta circospezione: “Quando si tratta di parlare di Colonia i giornalisti combattono contro due insicurezze”, scrive Jochen Bittner. Quella di non fomentare risentimenti collettivi e dall’altra parte raccontare i fatti come stanno. “Ma dove passa la linea sottile tra un giornalismo responsabile e un silenzio dettato dalla paura?”. Il giornalismo non va confuso con i social media, scrive ancora Bittner, il giornalismo richiede prima di pubblicare qualcosa ricerche e verifiche. Un obbligo che permane anche quando i fatti appaiono “evidenti”. D’altro canto però, rientra tra gli obblighi del giornalista anche non autocensurarsi e compiere ricerche solo in una direzione. “Questo istinto di autocensura scaturisce, in situazioni come quella di Colonia, dalla paura di essere indicato come razzista, nemico dei profughi”. Ma come hanno sperimentato i siti web dei giornali, proprio l’autocensura finisce per incendiare ulteriormente gli animi. Molti giornali hanno dovuto bloccare i link di commento perché subissati da una valanga esternazioni ferocemente xenofobe.
Ha ragione, dunque, la Faz a parlare del primo vero stress test chiedendo interventi rapidi e concreti da parte dello stato per non alimentare la sensazione nell’opinione pubblica che governo e forze dell’ordine federali, al pari di quelle di Colonia non abbiano più il controllo della situazione. La richiesta da parte del ministro della Difesa Heiko Maas di rendere più severe le leggi contri gli aventi diritto di asilo può essere un primo passo, anche se come ha detto l’esperto in materia Ulrich Karpen: “Le leggi ci sono già, non c’è bisogno di modifiche. Vanno però applicate, e questo costa soldi”.