Proprio mentre la riforma costituzionale tagliava l’ultima tappa del suo percorso al Senato, mancandole ora solo un altro scontato sì della Camera per imboccare poi la strada del referendum cosiddetto confermativo, nel salotto televisivo di Lilli Gruber, a La 7, la vice segretaria del Pd e presidente della regione Friuli-Venezia Giulia, Debora Serracchiani, renziana più o meno di ferro, diceva con serafica certezza che dopo il voto di Montecitorio ce ne sarebbe stato un altro ancora a Palazzo Madama.
Serracchiani, stanca forse per i viaggi cui la costringono le sue doppie funzioni istituzionali e politiche, in Italia e anche all’estero, di recente in Iran con tanto di testa velata, si era persa il conto del lungo percorso parlamentare della riforma. Un errore, diciamo così, di cronaca, essendosi la vice segretaria e governatrice limitata a parlare dell’attualità, e risparmiato il rischio di compiere anche errori di storia con argomenti e fatti più datati.
Sconcertante quanto l’errore della Serracchiani, che pure sembra, anche per una certa affinità con il nome che porta, una graziosa secchiona, è stato il silenzio degli altri frequentatori del salotto tv, compresa la solitamente attenta e interventista conduttrice. Un silenzio forse di cortesia, diciamo così, per risparmiare all’ospite, con una puntualizzazione, l’inconveniente di far notare ciò che poteva essere sfuggito a qualche telespettatore distratto o sprovveduto. Indifferente, avrebbe detto Antonio Gramsci, che odiava letteralmente questa categoria di persone, tanto da dedicarvi interventi largamente citati ancora oggi. Uno dei quali è stato appena adottato come slogan per la sua corsa elettorale al Campidoglio da Alfio Marchini, per quanto non più elettore, se mai lo è stato, o simpatizzante della cultura e della militanza comunista del nonno, del padre, delle zie e quant’altro, derivate proprio dai testi di Gramsci.
L’errore di…. cronaca della Serracchiani fa in qualche modo il paio – per avere un’idea dello spessore informativo e persino tecnico di alcune protagoniste del cosiddetto dibattito politico, per non dire di più – con l’accostamento fatto di recente dalla giovane ministra della riforme e dei rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, e dalla meno giovane presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, l’ex magistrata Anna Finocchiaro, fra il nuovo Senato non più elettivo ma designato dai Consigli Regionali e il primo Senato della Repubblica, secondo loro nominato nel 1948 dal capo dello Stato. Che invece ne aveva nominato una tantum, per una disposizione transitoria della Costituzione, poco più di cento per recuperare illustri ex presidenti di assemblee legislative e perseguitati dal fascismo, in aggiunta ai quasi 250 regolarmente eletti dal popolo con il sistema proporzionale.
Mi chiedo se non sia il caso di chiedere ai politici, ma anche ai giornalisti che ne raccolgono dichiarazioni, ansie, proclami e quant’altro, una maggiore cura nell’uso dei loro attrezzi. Di studiare un po’ di più le materie e le cose di cui si occupano. E di non diventare attentissimi solo quando a un allenatore di calcio capita di sentirsi dare o di dare del “frocio” ad un collega in una baruffa, o baruffetta, di stadio. Scrivendone come dell’attentato di Sarajevo, o della tempesta di turno nei cosiddetti mercati finanziari, dove le grida di “frocio” in effetti possono sprecarsi fra chi perde i suoi risparmi e i referenti in banca.