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Ecco come l’Ue aiuta la Volkswagen sulle emissioni

Segnatevi questa data: 10 febbraio 2016. E prestate attenzione alle notizie in arrivo dal parlamento europeo di Strasburgo. Quel giorno gli eurodeputati dovranno pronunciarsi su una proposta alquanto controversa del Comitato tecnico per i veicoli a motore, un organismo del Consiglio degli Stati europei. In pratica, questo comitato propone di raddoppiare i limiti delle emissioni inquinanti degli autoveicoli, per consentire alle case automobilistiche di vendere le vetture in magazzino, già prodotte con la qualifica euro 6, in teoria la più rispettosa dell’ambiente, ma in realtà inquinanti come le altre. Il motivo? Studi approfonditi hanno appurato che i test di laboratorio per controllare le emissioni degli autoveicoli, anche quando non sono truccati come quelli della Volkswagen, registrano emissioni di azoto che sono in media tre-quattro volte inferiori a quelle reali su strada, con punte di sei volte. Da qui la decisione politica, in realtà una furbata degli alti papaveri della Commissione Ue, guidata da Jean-Claude Juncker, di correre ai ripari alzando del 110% i limiti di inquinamento consentiti.

Inutile dire che una simile decisione sarebbe un toccasana per tutte le case automobilistiche, soprattutto per la Volkswagen, che proprio per avere truccato i test sulle emissioni inquinanti negli Stati Uniti rischia di pagare 47 miliardi di dollari di multa. Rischio che, per il momento, non corre in Europa, dove il governo di Angela Merkel è riuscito a sedare i competenti uffici dell’euroburocrazia. Non stupisce, quindi, che all’interno del Parlamento europeo, lo schieramento dei partiti di centrodestra, guidato dal Ppe (Partito popolare europeo), il partito della Merkel, si sia già dichiarato a favore della proposta di raddoppiare i limiti delle polveri sottili, sostenendo che “è necessario coniugare l’ecologia con l’economia”. In pratica, detto con cinico realismo, se i motori non riescono ad adattarsi alle esigenze dei nostri polmoni, saranno i polmoni dei cittadini europei a doversi adattare alle emissioni dei motori.

Contro la proposta del Comitato tecnico, invece, si sono schierati i partiti di sinistra e quelli ambientalisti, compreso S&D (Socialisti e democratici), dove il maggiore partito nazionale è il Pd di Matteo Renzi. «Non metteremo la testa sotto la sabbia», ha dichiarato nell’aula di Strasburgo Massimo Paolucci, eurodeputato Pd. «Ormai è chiaro: le misurazioni fatte in laboratorio sulle emissioni degli ossidi d’azoto delle auto diesel sono mediamente tre-quattro volte inferiori a quelle reali su strada. E per ridurre l’anidride carbonica, non si può chiudere gli occhi sull’inquinamento atmosferico».

Ma, a quanto pare, quella di chiudere gli occhi è stata l’unica prassi seguita finora in Europa, a dispetto dei proclami altisonanti lanciati appena un mese fa a Parigi, a conclusione della Conferenza mondiale sul clima. I numeri parlano chiaro. Nel 2007 il regolamento europeo 715 aveva stabilito che il limite di emissione per gli ossidi d’ azoto fosse pari a 80 milligrammi a chilometro per i veicoli euro 6. Limite da controllare con i test di laboratorio. Ma ora che lo scandalo Volkswagen ha dimostrato che i test di laboratorio possono essere facilmente truccati con un l’uso di un software mirato, anche in Europa si è deciso di passare in futuro ai test su strada, che sono più veritieri. Ovviamente, un passaggio da fare senza fretta. Così il Comitato tecnico per i veicoli a motore ha proposto di alzare i limiti di NOx (ossido d’azoto) del 110% nel periodo tra il settembre 2017 e il dicembre 2018, scendendo a un più 50% negli anni seguenti. In soldoni: invece di 80 milligrammi di ossida d’azoto, i polmoni dei cittadini europei ne dovrebbero respirare 168, almeno fino alla fine del 2018.

Il condizionale è d’obbligo, perché a Bruxelles, in vista del voto del 10 febbraio, il confronto politico ha cominciato a scaldarsi. Venerdì 22 gennaio è stata infatti insediata una commissione d’inchiesta, composta da 45 eurodeputati, che dovrà fare luce sul comportamento della Commissione europea nello scorso autunno, dopo lo scoppio dello scandalo Volkswagen. In particolare, dovrà indagare sul potenziale coinvolgimento, con colpa o dolo, delle istituzioni comunitarie e degli Stati membri, i quali, benché da anni a conoscenza della discrepanza tra i test su strada e quelli in laboratorio, sono rimasti inerti.

La composizione della Commissione d’inchiesta rispecchia le forze presenti nel Parlamento europeo: 14 sono del Ppe, 12 di S&D, 5 Ecr, 4 Alde, 3 Verdi, 3 Gue-Ngl, 2 Efdd e 2 Enf. Per gli italiani ne fanno parte tre Ppe (Giovanni La Via, Lara Comi, Massimiliano Salini), tre S&D (Flavio Zanonato, Massimo Paolucci, Nicola Danti), più Eleonora Evi (Efdd), Mario Borghezio (Enf) e Renato Sernagiotto (Ecr). Il Ppe, inizialmente contrario alla Commissione d’inchiesta, ha poi aderito per «impedire che l’inchiesta si trasformi in un tribunale d’inquisizione», mettendo in piedi un «processo al diesel». Finora, nessuno ha detto in modo esplicito che potrebbe uscirne un processo alla Volkswagen e ai suoi potenti protettori politici. Il clima, però, è questo. Anche se la casa tedesca, a ben vedere, non è stata l’unica a truffare sui test.

(Pubblichiamo questo articolo uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori)

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