Lo so che il Brasile, la Cina e l’Europa sono in difficoltà, che il ginepraio mediorientale sembra inestricabile, che il terrorismo islamista ci può colpire in ogni momento, che in Libia il Califfo sta bussando alle nostre porte, ma la mia curiosità resta: che fine ha fatto la coalizione di Maurizio Landini? Perché nei talk show in cui viene invitato per sollevarne l’audience stentata, nessun conduttore glielo chiede? Sono ansioso di avere notizie fresche.
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Pur avendo una certa dimestichezza con le tortuosità della sinistra italiana, confesso che senza i preziosissimi portolani di Formiche.net non capirei un fico secco di quel cafarnao che è il dibattito interno al Pd. In qualche circostanza mi ricorda “Hellzapoppin”, il film diretto nel 1941 da Henry C. Potter, pietra miliare della commedia dell’assurdo. Perfino la nomina di tre esponenti di Ala, il gruppo di Denis Verdini, alla vicepresidenza delle Commissioni parlamentari è capace di suscitare epici scontri ideologici. Purtroppo, osservando le odierne rotte di navigazione del Partito democratico, “Non è pileggio [traversata audace] da picciola barca/ Quel, che fendendo va l’ardita prora,/ Né da da nocchier ch’a se medesmo parca [si risparmia per paura]” (Dante, Paradiso, Canto XXIII).
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Matteo Renzi non è molto simpatico ai burocrati di Bruxelles, ma bisogna riconoscere che i suoi non sono solo dei furbi capricci (al netto tuttavia di una componente propagandistica ad uso interno: siamo già in campagna elettorale, se a qualcuno non fosse ancora chiaro). Infatti, il blocco politico-culturale che detta le regole all’Unione sta (da tempo) mettendo a repentaglio l’intera costruzione comunitaria. Non si tratta di essere keynesiani. Si tratta di lanciare una sfida agli ottusi ragionieri europei affinché calcolino finalmente quanto vale passare dalla sfiducia alla speranza.
Noi abbiamo (dopo la Grecia) il più alto debito pubblico e il più basso debito privato di Eurolandia. A causa del primo abbiamo dovuto fare una feroce politica di austerità. Nel contempo, però, abbiamo dovuto contribuire al salvataggio delle banche di Paesi con un elevatissimo debito privato. Un drenaggio di risorse responsabile – in parte – dell’impennata del debito pubblico nazionale, nonostante il contenimento della spesa e l’aumento della pressione fiscale che abbiamo conosciuto negli anni alle nostre spalle. Fino a quando potremo pagare il conto salatissimo di questo paradosso?