I diritti umani sono certamente la base sulla quale costruire la civile e pacifica convivenza tra popoli di cultura, tradizioni, sistemi giuridici e religioni diverse; essi fanno riferimento a una concezione etica e morale, poiché derivano dall’idea della dignità della persona umana e devono quindi essere rispettati come espressione del diritto naturale.
La cultura occidentale ha ormai approfondito il tema, la cui concreta attuazione si riscontra in molteplici aspetti della vita di ogni singola persona. Dai principi affermati nel secolo dei Lumi si è giunti alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, i cui principi ispiratori sono stati trasferiti – attraverso varie convenzioni internazionali – nelle legislazioni nazionali. Questi diritti noi li riteniamo universali.
Nel mondo oggi si confrontano però tradizioni culturali, religiose e antropologiche molto diverse dalla nostra e ci si pone la domanda se i valori che riteniamo universali, siano veramente tali per tutti i popoli. Per il mondo islamico la legge principale è la Sharia: essa tiene soprattutto in considerazione il sistema morale e i valori della propria società e cultura e, in qualche modo, li serve ed esercita una funzione strumentale alla loro conservazione e protezione, con poche possibilità di un’evoluzione interna.
Diritto e religione nella dottrina sciita sono inscindibili. Non vi è quindi spazio per una legge di livello superiore: una convenzione internazionale può, infatti, essere recepita nell’ordinamento interno solo se contiene norme e principi in linea con la legge coranica. Tuttavia, il recente accordo sul nucleare tra l’Iran e l’occidente ha aperto nuove strade e possibilità di cooperazione tra le due parti che, per molti anni, sono state reciprocamente isolate. L’Iran è certamente uno Stato di grande importanza politica, strategica, religiosa e culturale e questo avvicinamento serve a entrambe le parti per sviluppare un dialogo costruttivo e operativo. I punti d’incontro sono molteplici e riguardano un ventaglio di materie molto ampio: tra queste è certamente fondamentale quella che riguarda i diritti umani.
In un recente incontro tra la delegazione italiana e quella iraniana sui diritti umani in materia penale, è stato sottolineato che l’Iran guarda ai sistemi giuridici occidentali – a quello italiano in particolare – per razionalizzare ulteriormente i diritti dell’imputato e la celerità del processo penale; inoltre, è stato osservato che la dottrina sciita ha uno sguardo particolare verso il diritto alla vita, perché questa collega l’uomo al Creatore e quindi alla sua divinità. I fondamenti della società e della cultura iraniana e del suo sistema giuridico sono i principi della razionalità, dell’esperienza e del realismo. La visione realista delle cose, che tende a confrontarsi con altre realtà pur adeguandole alla cultura nazionale, vuole avvicinarsi al mondo occidentale anche se l’Iran non potrà mai essergli del tutto simile.
Dopo la rivoluzione islamica, sono avvenuti cambiamenti nel precedente sistema giuridico volti a favorire la prevenzione dei reati, a riconoscere la dignità della persona umana, a cercare un dialogo con l’accusato, a informarlo dei suoi diritti e a garantirli. Il diritto alla difesa e quello dell’accesso alla professione legale sono tra i più importanti nella legislazione iraniana: gli avvocati rappresentano un ordine autonomo e indipendente e un terzo di essi è costituito da donne.
Durante l’incontro tra le delegazioni – italiana e iraniana – sono state affrontate le norme e le prassi dei due Paesi nello svolgimento del processo penale, i vari temi legati alla possibilità di intervento della difesa nelle diverse fasi processuali e l’attività della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu); sono stati proposti contatti rafforzati con università italiane e iraniane, con gli ordini degli avvocati di entrambi i Paesi e con i rispettivi organismi giudiziari. È stata però riconosciuta l’impossibilità di creare una Corte di giustizia islamica sovranazionale perché non si concilierebbe con la legge coranica.
Sulla fondamentale questione riguardante il diritto alla vita, si è rilevato che in Iran (e in generale nei Paesi islamici) è ancora consentita e molto diffusa la pena di morte per reati non precisamente specificati e che anche gli organismi internazionali hanno segnalato l’aumento di queste condanne. In realtà, in Iran la pena di morte è applicata soprattutto per reati concernenti il traffico internazionale di stupefacenti, data l’elevatissima quantità di eroina che si riversa nel Paese dal vicino Afghanistan. Non si è trovato finora un altro rimedio efficace per bloccare questo traffico e la pena di morte è pertanto l’unica ritenuta adeguata, anche se essa non è prevista nella Sharia.
L’Iran, soprattutto dopo il recente accordo sul nucleare, auspica un suo avvicinamento all’Unione europea e a questo fine ha chiesto un intervento del nostro Paese. Anche noi riteniamo di rilevante importanza politica questo avvicinamento e va sottolineato che proprio la maggiore attuazione dei diritti umani lo faciliterebbe. La significativa riduzione – se non l’eliminazione – della pena di morte sarebbe il segnale più forte dato alla comunità internazionale sull’interesse dell’Iran a tornare a svolgere un ruolo fondamentale nello sviluppo dei rapporti con gli altri Paesi.
L’Ayatollah – rettore dell’Università di Qom, la città santa sciita – ha osservato che c’è bisogno di un dialogo culturale, anche antecedente a quello religioso. Si deve considerare, infatti, che c’è un passato storico tra l’occidente e i Paesi islamici; lo si deve studiare da entrambe le parti, anche in modo autocritico e con lo sguardo proiettato al futuro. Nel campo dei diritti umani e della loro filosofia, ci si deve allontanare dal ritenere che sia giusto solo quello che è propugnato nell’ambito della propria area culturale, giacché ci possono essere in questa materia punti di contatto tra il mondo iraniano e quello occidentale che consentano di iniziare un dialogo fruttuoso. In caso contrario si rischia che continuino gli estremismi in entrambi i sistemi: queste aperture non possono essere lasciate cadere, anzi vanno estese.
Oltre il campo penale, vi sono altri aspetti della vita nei quali far progredire l’applicazione dei diritti umani e tra questi è di massima importanza il diritto alla libertà religiosa. La cultura occidentale dovrà trovare gli spazi e le riflessioni per avvicinare questi due mondi, oggi entrambi in evidente difficoltà.
Articolo pubblicato sul numero 109 della rivista Formiche