Che Adrian Bravi abbia a che fare con la scrittura, lo si deduce mettendo in fila le tappe della sua biografia. Bibliotecario, nato a Buenos Aires, vive a Recanati. Ecco. Adrian Bravi è in libreria con L’inondazione, edizioni Nottetempo.
L’inondazione è un romanzo che non può non leggere Maria Grazia Pontorno. Perché lei, che è autrice di Roots, non può mancare una storia di radici come questa. Una storia in cui Adrian Bravi emigrato di ritorno, essendo lui nato in Argentina discendendo da nonni taliani e poi tornato in Italia, costruisce e scrive questa sua storia in Italiano ispirandosi, però, al suo passato, alla sua infanzia sulle sponde del fiume Lujan, in Argentina. Ai ricordi fabbricati in lingua spagnola. Ecco.
La storia, quella dell’inondazione del fiume Rio Sauce, è una storia metafisica. Ha a che fare col tempo, con la sospensione. L’acqua inghiotte un paese e il protagonista, il falegname Morales, a differenza di tutti gli altri suoi compaesani, decide di non fuggire nel paese vicino. Decide di vivere tra i suoi cari, morti, pagaiando tra i tetti che affiorano. Il tempo, sospeso, galleggia anch’esso tra passato e presente.
L’arrivo di improbabili speculatori cinesi evoca l’arrivo dei Tartari e fa, del falegname Morales, Giovanni Drogo. Il paese sommerso diventa una fortezza e l’acqua, forza della natura, detta le sue regole. Morales finisce in quel Limbo, che riguarda l’uomo del novecento, in cui è sinistramente piacevole adattarsi a una regola che fa di ogni giorno lo stesso giorno, anziché provare a piegare il presente alla propria inclinazione.
Il linguaggio è lirico, favolistico. Il falegname Morales, che instaura un rapporto con gli yacarè – temibili alligatori –, a volte, somiglia perfino a Uncino. E il lettore, lungo le pagine, vorrebbe a un certo punto trovare della polvere di fata con cui svegliare la piccola e sfortunata figlia di Ilario Morales, annegata due volte. Da viva e da morta.
L’acqua, nel riverbero delle albe umide, si fa cromaticamente un tutt’uno con il cielo. Tutto si muove, ovvio, ma Bravi-Morales sembrano fermare il tempo. Sospenderlo come fa Piero Guccione con le sue Marine. Rappresentare lo sfasciarsi dell’azzurro del cielo, nell’azzurro del mare. Fissando un istante di eterno, statico movimento. Rispondendo a quel bisogno dell’uomo che, rispetto al tempo, è vigliacco. O, forse, più semplicemente, debole. Non attrezzato a tutte le dure prove della vita.
Quello che in Perelà di Palazzeschi fa il fuoco, qui in Bravi lo fa l’acqua. L’acqua distrugge e al tempo stesso, su di essa, i può galleggiare. Il fuoco distrugge e al tempo stesso crea anelli di fumo che sono un concentrato di consistenza e leggerezza. Se Perelà evoca la figura del Cristo, qui è il fiume ad evocare la volontà di Dio. E volendo leggere questa storia con un occhio tutto mediterraneo, ecco che il falegname Morales che evoca Perelà ci rimanda al Partenopeo Pulcinella di cui Giorgio Agamben, delle cui lezioni all’Università di Macerata si è imbevuto proprio Adrian Bravi, ha pubblicato giusto un mese fa il suo ultimo libro, manco a dirlo per Nottetempo. Quando si dice la circolarità carsica della letteratura, dei miti e dei simboli.
E, sempre volendo leggere questa storia con un occhio tutto mediterraneo, ecco che L’inondazione evoca quella prerogativa che è proprio dell’isola – penso alla Sicilia di Manlio Sgalambro – la certezza, inesorabile, di sprofondare. Là dove domina l’elemento insulare infatti, l’uomo vive come chi non vorrebbe vivere. L’uomo vive dentro a un tedium senza tempo che è parente del Nirvana. Ecco.
Siamo tutti vittime del tempo breve. Questo è il fatto. E il falegname Ilario Morales ce lo ricorda. Il suo è un monito, quello di sintonizzarci sul nostro tempo più intimo.
L’inondazione
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